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            TEATRO, VIDEO e PERFORMANCES

            L'idea di dedicarsi anche alla scrittura teatrale lo tenta fin dalla metà degli Anni Ottanta, senza però poter trovare spazi, a causa della situazione culturale di Rovigo. Anche in questo campo la svolta gli viene data dall'ingresso nell'ambito dell'Arte Postale, abbandonata la quale frequenta per due anni la scuola del “Teatro Polivalente” di Occhiobello.

            La disponibilità e l'apertura mentale degli artisti che ne frequentano il Network, unite alla trasversalità delle operazioni proposte in questo settore, lo spingono sia a realizzare due video, sia a dedicarsi alle performances. Nel primo caso i lavori (realizzati anche stavolta in collaborazione con Alessandro Ceccotto) sono considerati dall'autore poco più che tentativi amatoriali e malgrado vengano proiettati in alcune rassegne legate alla Mail Art in Italia, Germania e Croazia; "Fiori" ed "Esplorando" (ambedue tratti da sue poesie), non lo soddisfecero mai, tanto che verranno rifatti nel 2004 e nel 2006.

            In precedenza (tra l’82 e il ’93) aveva scritto, comunque, quattro lavori teatrali ("Ecloghe", "Atrìdi", "L'acqua, la danza, la cenere", "Tre studi su Mishima") sulla cui validità, in assenza di riscontri precisi, nutre da sempre molti dubbi. Si segnala però che, nel Febbraio 2002, durante una serie di manifestazioni contro la guerra tenutesi a Pezzoli di Ceregnano (RO), venne letta, con attori del T.P.O., una versione ridotta di “Ecloghe”.

            Le sue realizzazioni con quest’ultimo gruppo si fermano però a quell’anno, dopo il quale nessuno dei suoi soggetti viene più accettato: visto che non sono in sintonia con quanto il direttore desidera proporre, per coltivarsi le simpatie della locale Amministrazione Comunale e del possibile pubblico.

Iniziata una ricerca di collaboratori durata un paio di anni, riprende la realizzazione dei, autoproducendoli con l’aiuto de “La Scatola dei Lumi”: un gruppo di giovani sempre della Provincia di Rovigo, che fino al 2007 operavano sotto il nome di “Brain Optional” anche nel campo dei videoclip musicali.

            Diverso il caso delle performances: ne furono realizzate una decina, tra il '90 ed il '96, tutte con buon riscontro; fra i loro titoli vale la pena di ricordare: "Holes", il cui testo gli fu proposto dal Mail Artista irlandese Barry Pilcher nel '92; "I mangiatori di carne" e "Della relatività del nascere" (rispettivamente del '93 e del '94), entrambe basate sulle omonime poesie presenti nella raccolta "Il filo continuo"; "Annwn", ispirata alla concezione cosmogonica dei Cimbri e realizzata appositamente per il Congresso Internazionale di Paleoantropologia tenutosi a Forlì nel Settembre '96.

            Tra il '95 ed il '96 è presente a Bologna e a Sant'Arcangelo di Romagna con il gruppo di teatro sperimentale bolognese "Teatro Situazionautico Luther Blissett" che, nella primavera del '96, gli realizza un adattamento performativo di una poesia tratta dalla raccolta "Invettive", poi resa in pubblico a Bologna.

            CORTOMETRAGGI

- 1998: "Quando ci incontreremo sotto le onde", versione cortometraggio di "Inquietudini d'amore" di Yukio Mishima: uno degli atti unici del drammaturgo giapponese che utilizzò come base dei "Tre studi" di alcuni anni prima. Va considerato come “saggio” del primo anno di Corso presso il “T.P.O.”

- 1998/9: Partecipa per il “T.P.O.” alla stesura di soggetto e sceneggiatura del cortometraggio "Quaderno di Teresa" ed alla sceneggiatura e scenografia del mediometraggio fiction "Assicurazioni sulla vita".

- 2000/1: Sempre all’interno di quel laboratorio cine-teatrale ispira un progetto incentrato sul degrado culturale e comportamentale della nostra società, per il quale stende due dei soggetti scelti e collabora alle relative sceneggiature. A suo nome, all’interno di quest’opera intitolata “I Miserabili” ed articolata in diversi corti (fruibili anche singolarmente), appaiono “Lo studente” e “L’esame”. I due video, incentrati sul mondo della scuola, vengono selezionati e proiettati nel Novembre 2001 al convegno su Teatro, Cinema e Scuola, organizzato dal Cineclub “L’Occhio del Ciclope” di Messina presso la locale Università.

- 2002: Cura come aiuto regista la ripresa dell’atto unico “La Tigre”, anni prima realizzato da Ferdinando De Laurentis (direttore del “T.P.O.”) e tratto dall’opera omonima di Schisgal.

- 2004: Viene rigirato “Fiori", portato finalmente ad un accettabile livello professionale grazie al gruppo "Brain Optional", col quale inizia a collaborare a livello filmico.

- 2005: "San Valentino", cortometraggio ispirato al racconto omonimo di Vittorio Baccelli (un autore toscano abbastanza noto nell’ambiente dell’Arte Postale), apparso sulla fanzine “Evasion”.

- 2006: Viene rigirato “Esplorando”; come per “Fiori”, si tratta di una rilettura che fa tesoro dei miglioramenti tecnici acquisiti negli anni precedenti, anche se non lo soddisfa interamente.

- 2007: “Nel buio e nel silenzio”, tratto dal racconto di Mauro Ferrari “Creature del buio e del silenzio”, in “Storie da Novi”, delle Ed. Joker di Novi Ligure (AL).

- 2008: “Chi sono io”, tratto dal racconto all’epoca inedito di Maurizio Ganzaroli “Chi sono io?”

“Lo specchio e la pistola”, tratto dall’omonimo racconto di Alex Tonelli, apparso sul n°4 di “Next”.

            Tutti i corti realizzati con “Brain Optional” e “La Scatola dei Lumi” sono visibili su Youtube, alla pagina luirec66. Nessuno di essi è mai stato premiato: si sono solo ottenute apparizioni e, al massimo, segnalazioni ad alcuni concorsi; dal 2007 tanto l’autore quanto Luigi Recanatese hanno convenuto di sospendere, in linea di massima, la partecipazione a concorsi; favorendo, appunto, la visibilità tramite la rete.

            Ad ogni modo l’attività filmica di Alberto Rizzi, malgrado diversi soggetti originali e adattati, è al momento “in sonno”.

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“QUANDO CI INCONTREREMO SOTTO LE ONDE

(Notizie varie, aneddoti, curiosità…)

 

 

Nel 1998, chiusa da un po’ l’esperienza dell’Arte Postale e il lavoro a contatto col gruppo “Luther Blissett”, volli cimentarmi con i video.

          L’idea era di portare avanti professionalmente gli esperimenti di videopoesia, che avevo realizzato agli inizi degli Anni ’90 con il MailArtista adriese Alessandro Ceccotto; cortometraggi che erano passati anche in manifestazioni estere, ma senza soddisfarmi a causa del nostro dilettantismo.

L’esperienza con Ceccotto finì, perché lui era interessato alla sperimentazione diretta sulle immagini, creando una sorta di “flusso di coscienza” con esse. A quell’epoca a me interessava semmai la trasposizione filmica dei miei testi, con un linguaggio magari onirico, ma in sostanza “tradizionale”.

 

Una quindicina di anni prima avevo avuto una limitata esperienza teatrale con un gruppo dilettantesco sempre della zona; limitata e inutile, se non che mi aveva insegnato come NON si gestisce umanamente un gruppo teatrale… Nel 1998 optai per la frequentazione di una scuola biennale privata, il “Teatro Polivalente di Occhiobello”, paese nella Provincia in cui vivo. Si trattava di due corsi, uno cinematografico e uno teatrale, che venivano frequentati entrambi in parallelo.

Alla fine di ogni anno di corso era previsto il canonico saggio e per quello cinematografico c’era in palio la possibilità di girare un corto sulla base di una propria sceneggiatura, scelta dal direttore della scuola tra tutte quelle presentate dagli allievi. La mia l’avevo tratta dall’atto unico di Yukio Mishima “Inquietudini d’amore“, che alcuni anni prima avevo provato a trasporre a livello di teatro contemporaneo e fu, tra tutte, quella accettata.

 

Questa esperienza fu per me molto importante, non solo per la soddisfazione e la conferma che di potenzialità ne avevo anche in quel campo, ma perché mi impartì salutari lezioni sulla miseria che contraddistingue umanamente anche l’ambiente del teatro e del cinema qui da noi, almeno a livello amatoriale.

Penso che sappiate quello che si dice sul cercare di portare a termine un progetto in Italia: “Con gli italiani non ci si deve guardare tanto da quelli che non vogliono che venga realizzato: ma soprattutto da quelli che vogliono farlo a modo loro, specie se non ne sono capaci”.

L’italiano medio, che di solito è uno stupido e che – proprio per quello – si crede un genio, si taglierebbe non so cosa (non è vero, lo so…), pur di impedire a qualcuno con idee chiare e capacità anche solo normali, di conseguire il successo; specie se, per arrivarci, lui sta leccando culi dalla mattina alla sera.

Mi trovai dunque con l’intero ambiente della scuola coalizzato contro di me:

 

  • I “colleghi” del primo anno, invidiosi per non esser stati scelti; senza magari pensare che presentarsi con un testo scritto da un premio Nobel, a saperlo trattare è come andare con un bulldozer contro un cespuglio.

  • Alcuni attori del secondo anno sentivano le loro ineguagliabili capacità sminuite e umiliate, dal doverle mettere al servizio di un allievo del primo.

  • Perfino uno dei tecnici del gruppo (e qui ci sarà da ridere) si sentiva umiliato per dover servire, lui che lavorava con importanti registi italiani e che stava impostando una carriera registica anche all’estero, al lavoro di un coglioncello che credeva di fare chissà che, tra il soft horror e il surreale.

 

Dal punto di vista strettamente tecnico voglio chiarire che si trattò, in parte, di un compromesso; era un “saggio”, quindi un elemento di presentazione e di propaganda per la Scuola: perciò certi primi piani io non li avevo previsti, ma dovetti accettarli, perché servivano a “far booklet” per i giovani allievi. Inoltre l’associazione di Ivan Zuccon alla sceneggiatura fu dovuta soltanto al fatto che era il titolare delle lezioni di quella materia.

 

Comunque gli aneddoti sul set e durante le prove si sprecarono; ne ricordo qui solo uno, tra me e l’attore che interpretava il giovane in fuga, impegnato a non darmi la minima soddisfazione su come rendere un paio di battute:

 

Io – “Dimentica che tu e lei nella vita reale state assieme (all’epoca l’attrice co-protagonista era davvero la sua ragazza): adesso sei un impulsivo ed è normale che ti arrabbi con lei, per qualsiasi motivo”.

Lui – “E come faccio? Non ci riesco.”

Io – “Basta che richiami alla mente un episodio in cui ti arrabbiasti contro qualcuna”.

Lui – “Io non mi arrabbio mai”.

 

Comunque alla fine non venne male, anche perché giravamo con un’attrezzatura professionale. E a livello attoriale, visti i tempi ridotti e l’ostruzionismo patito, ne fui comunque soddisfatto; anche se di sicuro si poteva far di meglio.

 

Un’ultima perla, tanto per capire l’ambiente…

Vi ricordate il tecnico coglione che ho menzionato poco sopra?

Ricevuta la cassetta, la guardo e noto che alla fine c’è qualcosa che non va: il nastro non va in bianco, una volta terminati i titoli di coda a rullo. Lo lascio scorrere e poco dopo vedo una sorta di flash: con pazienza la rifaccio scorrere lentamente e trovo un fotogramma inserito in maniera subliminale, con un’immagine che doveva dimostrare lo schifo che faceva il mio lavoro. Una cosa che si può fare solo durante il montaggio, al quale io non avevo partecipato.

 

Ma il coglione era così coglione, da essersi dimenticato che tra le lezioni che facemmo nel corso dedicato alla regia, ce n’era una sull’uso delle immagini subliminali…

I DUE CORTI “UNO STUDENTE” e “L’ESAME”

 

 

       Nel successivo anno di corso al “T.P.O.” fu chiesto agli alunni di regia di progettare alcuni corti, da girare con le stesse modalità di quello che avevo girato io l’anno precedente: cioè coinvolgendo le persone di entrambi gli anni, oltre che lo staff tecnico della Scuola.

       Io proposi i titoli di cui sopra, assieme all’idea di inserirli in un contesto più ampio, incentrato sul malcostume che governa i comportamenti e le scelte dell’italiano medio.

Pensavo di non avere speranza, perché – al di là di certi astii personali di cui ho scritto nella precedente presentazione – mi stavo rendendo conto che non ci si voleva impegnare in soggetti che “dessero fastidio”. Forse soprattutto perché il “T.P.O.” campava sull’accordo politico ed economico col Comune da cui prendeva nome: e quindi era preferibile produrre materiale se non agiografico, per lo meno “innocuo”.

 

       Contrariamente alle mie previsioni, invece, il progetto fu approvato in toto e i miei due soggetti rientrarono così in una serie di lavori che andò sotto il titolo generale di “Miserabili”.

       Col senno del poi, ritengo che il direttore della scuola avesse intuito che ne poteva venir fuori un’opera a episodi sulla falsariga di certi grandi film di costume degli anni Sessanta e Settanta, anche se a scala ridotta. E giocando così sui temi della commedia all’italiana, con quell’ironia e quella satira; che già allora erano però state deprivate dell’acume proprio dei grandi registi di quel genere, rifugiandosi in macchiette superficiali e fini a se stesse.

       Come che sia l’operazione andò in porto, con risultati in qualche caso divertenti.

 

       Per quanto riguarda i due miei corti, la professione di insegnante in piena attività e l’aver ben compreso gli effetti della deregulation scolastica iniziata un quindici anni prima, mi fecero optare per questi due temi.

       Nel primo è mostrato uno studente lobotomizzato dalla televisione (Internet non era ancora ai livelli di oggi…), con una madre single e anche per questo assente nel suo ruolo genitoriale; convinta che il figlio passi il tempo ad ammazzarsi di studio, si limita a colpevolizzare gli insegnanti: incapaci a suo dire di riconoscere l’impegno e le qualità del figlio.

       Una situazione che è ormai diventata la regola nell’ambiente scolastico, anche da prima della pandemenza in corso e che ha fatto ulteriormente aggravare questo problema.

 

       “L’esame” è invece la parodia dell’esame di maturità, già allora inquinato dalla marea montante del buonismo: uno dei grimaldelli utilizzati per colpire la meritocrazia e far passare cani e porci; aprendo così le porte alla Scuola come formatrice di analfabeti funzionali, anziché di persone in grado di esercitare il loro spirito critico.

 

       Ammaestrato dall’esperienza dell’anno prima, avevo giocato la carta del minimalismo: camera per quanto possibile fissa e il minimo indispensabile di attori; e questa volta che fossero, almeno nel loro piccolo, all’altezza.

       Anche in questo caso ci fu qualche intervento “dall’alto”; il fermo immagine che chiude “Uno studente” fu una scelta del direttore dei corsi, e devo dire che funziona meglio del finale che avevo pensato io.

       Mi sono invece permesso di “restaurare” l’altro corto, perché le scritte finali, previste dalla sceneggiatura originale, furono da lui cassate: e ho sempre creduto che “a qualcuno” – in ottica di reperimento fondi per la Scuola, o per future altre opere cinematografiche e teatrali - avrebbero dato fastidio… Chissà cosa ne pensa chi lo vede ora.

 

       Per concludere anche stavolta con un episodio curioso “a margine”, entrambi i corti vennero presentati nel 2001 all’Università di Messina, all’interno di una manifestazione per il cinema sulla e nella scuola: manifestazione organizzata dall’Associazione “L’Occhio del Ciclope”; altra sigla con un percorso culturalmente interessante, all’epoca; e chissà che fine ha fatto a vent’anni di distanza.

       Comunque io mi aspettavo, alla fine delle proiezioni, una marea di critiche sostenute dall’ipocrisia buonista di cui ho scritto sopra: invece sentivo delle colleghe, sedute un paio di file dietro, mormorare “È proprio così… Sta andando proprio così.” E se andava così allora, figuriamoci adesso…

   "FIORI"   

 

Già mentre terminavo il secondo anno di corso, iniziai a capire che dentro il “T.P.O.” non avrei avuto più spazio. Io non fui mai “espulso” in modo ufficiale, semplicemente iniziarono i “se abbiamo bisogno ti chiamiamo”: è il modo che gli italiani hanno per dirti: “Io non voglio lavorare con te, ma siccome sono un irresponsabile, non posso dirtelo in faccia: sei tu che devi capire che mi stai sull’anima e toglierti dai santissimi”.

 

       Annusata l’aria, iniziai a guardarmi attorno e a cercare nuovi “soci”. In un paio d’anni riuscii a trovare alcune persone affidabili, cioè il gruppo che allora si chiamava “Brain Optional” e in un secondo momento “La Scatola dei Lumi”.

       Parliamo di alcuni giovani del Delta del Po, che tentavano di farsi strada nel mondo dei videoclip musicali, partecipando ad eventi indipendenti come il “M.E.I.” di Faenza. Avevo bisogno di persone in grado di caricarsi la parte tecnica della realizzazione dei miei video e che fossero di mentalità sufficientemente aperta da accettare sia una moderata sperimentazione, sia di non farsi condizionare da chi si poneva in posizione ufficiale, come gli Assessorati alla Cultura e carrozzoni simili; e dai quali non ci si potevano aspettare sovvenzionamenti.

       L’incontro nacque sotto i migliori auspici, perché si basò sempre sulla rispettiva disponibilità ad aiutarsi l’un l’altro: chi, all’interno di un progetto, si poneva come ideatore e regista, poteva contare sul supporto degli altri; in qualsiasi ruolo servisse e a buon rendere…

       Purtroppo non riuscirono a sfondare nel settore dei video musicali e sarebbe lungo (e fuori luogo qui) ragionare sulle cause. Per quanto mi riguarda la collaborazione si concretizzò all’inizio con il rifacimento di “Fiori”, che si configurò come un esempio di cosa intendevo (e intendo, dovessi rimettermi a farne) come “videopoesia”.

 

       Chiunque ha la curiosità di seguire i social poetici, si accorge con facilità che – a causa del degrado culturale che da decenni colpisce il Paese – la maggior parte di chi vi propone videopoesie, le intende come una ripetizione in immagini dei versi che ha scritto.

Uno scrive “Giunse il tramonto sul mare” e ci appiccica la foto di un tramonto sul mare; il verso seguente recita “noi due correvamo sulla spiaggia” ed ecco la foto di due che corrono sulla spiaggia. È un modo per dire “sono così ignorante da credere che con le immagini quello che ho scritto si capisce meglio” (che poi è un modo di dare dello stupido a chi legge e/o guarda), ma per la maggior parte degli italiani va bene così; perciò passiamo oltre…

 

Quello che conta, è che una “videopoesia” è un’altra cosa; un prodotto artistico che spesso sconfina nella sperimentazione visiva.

Personalmente non mi sono mai sentito troppo attratto dalla sperimentazione, in nessuno dei campi artistici che ho frequentato e che frequento. Se, vista la corposa produzione poetica, due o tre raccolte si possono considerare “sperimentali”, la mia attitudine è stata per lo più quella di servirmi delle sperimentazioni altrui; e i video non fecero eccezione.

 

“Fiori” è la trasposizione dell’omonima poesia, tratta dalla raccolta “Quasi per caso”: della quale avrò modo di trattare diffusamente, quando ci arriverò nel corso dell’inserimento delle raccolte poetiche nella pagina di “Letteratura”; o quando ne parlerò, per una serie di motivi, in quella riservata all’Arte Postale.

Proprio nei primi anni della mia frequentazione di quell’ambiente creativo, assieme ad Alessandro Ceccotto (col quale, come spiegato in detta pagine, condivisi diverse operazioni artistiche) ne feci una prima versione.

Ne uscì fuori un filmato “molto amatoriale”, girato con una cinepresa non professionale e riversato, come s’usava allora, su videocassetta.

 

Tornando al “remake”, il limite dell’operazione nacque dal fatto che avevo deciso di “sacrificare” quel copione, per testare e rodare il gruppo.

Di conseguenza se l’attrice (Olivia Bernardi, uno dei pochi contatti che mi erano rimasti dalla scuola cineteatrale) fu nel complesso sufficiente, malgrado certe uscite nel corso delle prove che avevano dell’aneddotico, la resa tecnica fu viziata dall’eccesso di ottimismo, col quale gli operatori pensavano di poter gestire l’elettronica.

Purtroppo le sequenze delle stesse scene, fatte utilizzando due telecamere diverse, per quanto dello stesso modello, non si poterono mai amalgamare alla perfezione; non ci fu postproduzione che tenesse…

Così la prima realizzazione di questo titolo ebbe modo di girare abbastanza (anche all’estero) nelle manifestazioni legate all’Arte Postale: nelle quali non v’è selezione e si è bendisposti verso qualunque tentativo artistico. Ma questa, “definitiva”, non fu mai iscritta ad alcuna rassegna e fu solo proiettata in pubblico occasionalmente.

 

Posso quindi concludere che l’esperimento fu perfettamente riuscito a livello umano, come testimoniarono i molti anni di collaborazione a seguire; ma che non mi soddisfece appieno dal punto di vista tecnico: considerandolo soprattutto un buon inizio anche per liberarsi di certe, inevitabili ingenuità.

  "SAN VALENTINO"         

 

Nel 2005, in attesa di trovare attori per rifare “Esplorando” (il secondo corto realizzato con Alessandro Ceccotto una decina di anni prima e sempre sulla base di sue poesie), ho trasposto in corto un racconto di Stefano Baccelli, scrittore lucchese scomparso non molti anni or sono.

 

            Fin dai due anni di scuola cine-teatrale avevo capito che in Italia la qualità degli attori era il tallone d’Achille di qualunque produzione, specie se si era costretti a ricorrere all’ambiente amatoriale: e, tra parentesi, l’appiattimento della recitazione mostrato dalle serie televisive più recenti sta lì a dimostrarlo.

            Pertanto, con Luigi Recanatese (l’autore col quale ha costruito, all’interno di “Brain Optional / La Scatola dei Lumi” le collaborazioni più strette e produttive), scelsi la strada dell’inquadratura in soggettiva dall’inizio alla fine e in pratica senza alcun dialogo.

 

            Con le immancabili libertà che chi volge un testo scritto in filmato si prende, un po’ per forza di cose, un po’ per precisare meglio il proprio pensiero partendo da quella base, questo lavoro mostra le ultime ore di vita di un giovane scarsamente dotato e quindi incapace di una visione della vita e dei rapporti umani meno che superficiale. E che per questo si ritrova solo come un cane e senza il tanto agognato appuntamento galante, proprio nel giorno che sarebbe dedicato ai sentimenti.

Come dire che, già fin dall’inizio di questo secolo, la deregulation della Scuola Pubblica italiana stava producendo i suoi frutti, creando quella categoria di analfabeti funzionali, che condizionerà la società italiana per i prossimi decenni.

            Di fronte all’emergere del suo vuoto interiore e all’assenza di relazioni umane, il protagonista sceglie un’uscita di scena definitiva.

 

            Al di là di certe sparate provocatorie nelle rare occasioni nelle quali fu proiettato in pubblico (tipo “quando lo scrissi, speravo tanto nell’effetto emulazione, che i decerebrati come il protagonista avrebbero potuto sviluppare e mettere in atto.”) intesi questo corto come una sperimentazione di tecniche di riprese “estreme” (in questo caso appunto la soggettiva), in vista di lavori più complessi, che puntualmente non presero mai corpo.

 

            Un ringraziamento va dato a Mauro Labanti, ultimo membro del T.P.O. col quale rimasi in contatto e di sicuro uno dei pochi, tra quelli incontrati nei due anni di corso, a prendere seriamente e professionalmente il lavoro in questi ambiti: suo l’appartamento dov’è ambientato il video, prestato per l’intera giornata di riprese.

            Di lui perie le tracce nel 2012: a quell’anno datano le ultime rappresentazioni che egli fece con la Compagnia Teatrale amatoriale (Compagnia del Kamikaze), da lui fondata dopo aver terminato il corso con la Scuola di Occhiobello.

            E mi auguro che, lungi dall’aver commesso seppuku,  continui a portare avanti la sua passione con soddisfazione.

“ESPLORANDO”

 

Come si sarà capito, nel cercare di costruirmi una carriera cinematografica desideravo ripartire da dove s’era interrotto il cammino alla fine degli Anni Ottanta. Questo fu il senso di rifare “Fiori” e questo fu anche il senso di riprendere “Esplorando”: l’altro corto realizzato con Alessandro Ceccotto e che già nella sua prima versione riassumeva la raccolta poetica dallo stesso titolo; e la cui forma definitiva, cioè riveduta e corretta rispetto alla prima stesura, uscì come samizdat fotocopiato nel 2003.

L’impresa si presentava ambiziosa, considerando l’idiosincrasia verso la cultura “non embedded” che caratterizza la Provincia nella quale non ho scelto di vivere, perché era ormai chiaro che nessuno ci avrebbe dato il minimo sostegno, né tecnico e meno che mai economico. Inoltre c’era bisogno di luoghi non vicini a dove si viveva (fu girato tutto sui Colli Euganei) e di ben quattro attori, che naturalmente non potevano provenire da esperienze professionali.

Entrambi questi importanti dettagli ci fecero toccare con mano la pochezza dell’ambiente locale: concentrare un libro di una sessantina di pagine in una manciata di minuti era impresa all’epoca superiore alle mie possibilità, specie con quello che avevo a disposizione; anche per via della complessità del tema trattato, oltretutto fantascientifico: con l’assunto di alcuni “alieni” che, alla ricerca del loro pianeta d’origine finiscono su uno del tutto disabitato e con le vestigia di una civiltà del tutto in rovina. Fino a rendersi conto, a causa di alcuni avvenimenti avversi che li colpiscono, che è proprio dal quel pianeta e da quella civiltà che si autodistrusse, che provengono.

Ma il problema maggiore, molto pratico, fu la carenza di tempo dovuta al fatto di dover coordinare i tempi e i movimenti di persone che lavoravano tutte e in maniera indipendente l’una dalle altre.

E se esse si impegnarono per quanto poterono nel progetto (con una nota di merito per Riccardo Braggion, che di fatto rimarrà un punto di riferimento fisso per i miei seguenti progetti), questi problemi pratici ci costrinsero a girare in un’atmosfera di “buona la prima”, che certo non si confaceva alle ambizioni del filmato.

Per questo motivo non sorprende che di tutti i corti realizzati, “Esplorando” sia quello che ritengo meno riuscito.

NEL BUIO E NEL SILENZIO

 

 

               Dopo il non felice esito di “Esplorando”, capii che con le risorse a disposizione dovevo lavorare “al ribasso”; reso ormai conscio da quanto era accaduto negli altri ambienti “culturali”, se non mi stupiva l’impossibilità di suscitare interesse coi miei soggetti tramite i contatti che riuscivo a ottenere, dovevo accettare l’idea che il “giro” di quanti si professavano attori offriva davvero ben poco a livello di professionalità; per non parlare del lato umano…

               D’accordo con Luigi Recanatese (la collaborazione con Michele Zanella si era ridotta alla realizzazione delle copertine dei singoli cortometraggi), “lavorare al ribasso” significava contare al momento solo sulla presenza in scena di Riccardo Braggion e costruire i corti attorno a lui.

 

               Tra i soggetti che avevo preparato ce n’erano alcuni tratti da lavori altrui; nell’occasione ne scelsi uno da un racconto di Mauro Ferrari (autore, editore e critico col quale, prima della recente pandemenza, c’era un ottimo e proficuo rapporto di collaborazione), che vedeva un unico personaggio nel buio di una caverna.

               Ignoro se, nel 2007, l’idea di un’opera filmica – breve o lunga che fosse – ambientata al buio avesse già dato frutti. Mi vengono alla mente un film degli Anni Trenta, credo, ambientato in una miniera i cui cunicoli correvano, in Alsazia-Lorena, tanto nel sottosuolo francese, quanto in quello tedesco. Subito dopo la II G.M. ci fu un film francese girato invece all’interno di un sommergibile; in entrambi i casi, guai che mi ricordi i titoli... Ma erano casi in cui il regista disponeva sempre di un’illuminazione continua, anche se artificiale: così che l’accento veniva posto sulla situazione claustrofobica che si veniva a creare. Come più vicino al mio mi piace ricordare il film di Cortès “Buried - Sepolto“, nel quale il protagonista si ritrova chiuso in una bara; ma siamo già nel 2010  e non credo che il regista spagnolo avesse visto il mio corto..

Comunque il soggetto ci permetteva di cogliere due piccioni con una fava: lavorare con un singolo attore, che per primo ricercava la professionalità anche da parte dei tecnici coinvolti; e farlo in una condizione estrema, specie considerando i mezzi “molto limitati” di cui disponevamo.

 

               Anche nel piccolo di questa produzione ci sono aneddoti (per fortuna divertenti in questo caso) da ricordare: il suolo della caverna ricostruito con un tappeto di una quindicina di metri quadrati di sassi nella taverna dell’abitazione in cui allora vivevo, sassi generosamente offerti da un’impresa di costruzioni locali. Riccardo che corre da fermo, simulando il fiatone, su di essi, per dare l’idea di essere inseguito dai suoi demoni…

               E finalmente il risultato, con l’eccezione della parte iniziale troppo “tirata via” una volta di più per mancanza di tempo, ci soddisfece.

“CHI SONO IO”

 

            Continuando nel percorso che si potrebbe definire “del massimo risultato coi minimi mezzi”, nel 2008 girai “Chi sono io”, tratto da un racconto del ferrarese Maurizio Ganziroli, il cui titolo si differenzia solo per avere il punto interrogativo finale.

Anche qui un solo interprete (con qualche personaggio di contorno), budget in pratica inesistente, quasi rocambolesche avventure nelle notti estive del Polesine, perché si doveva pur sempre girare il grosso del filmato di notte e, in parte, nelle immediate vicinanze di un cimitero.

 

La novità era che si tornava ad avere il personaggio principale femminile, come in “Fiori”; e anche qui una digressione sulla psicologia di chi fa – o dice di fare / voler fare – questo mestiere si impone.

Nadia Cavana avrebbe potuto esser per noi l’alter ego femminile di Riccardo Braggion: stessa serietà nell’impegno davanti alla macchina da presa, stessa disponibilità a venire incontro alle esigenze mie e del mio alter ego Luigi Recanatese, sempre più coinvolto nella messa a punto del lavoro finito. Peccato che a fine riprese scomparve senza lasciar traccia. E né io, né Luigi riuscimmo mai a trovarne; né in rete, né nella vita 3D.

La conobbi all’interno del “Meet-Up” ferrarese del Movimento 5 Stelle, mentre Grillo & Co. intessevano la loro rete d’intortamento per quelle persone davvero desiderose di cambiare la situazione di merda, nella quale già allora si capiva (volendolo…) si trovasse la società italiana.

Però, al momento di ricevere la sua copia e i nostri ringraziamenti (con la richiesta d’esser disponibile per altre simili avventure), come ho scritto appena sopra, scomparve. Pure dal Meet-Up. Più vista: sparita, evaporata, riposizionata in un altro universo. Con la domanda, per noi rimasta senza risposta, “ma com’è possibile che una persona metta tanto impegno in un’esperienza del genere e poi non se ne voglia tenere, giusto per ricordo, il risultato?”

E si badi bene – scrivo questo a beneficio delle modaiole ipocrite del “Me too” – che mai nessuno di noi tentò minimamente di palpeggiarla sul set, o di farle proposte men che decorose e castigate.

 

Tornando al corto e al suo risultato, come nel caso del precedente video fummo nel complesso soddisfatti. In sostanza la sfida di creare effetti speciali più o meno a budget zero, che si adattassero all’ennesima variazione sul tema di un morto che non si rende conto di essere tale, fu vinta con risultati accettabili.

E a livello di aneddoti rimane la fretta di girare le scene a notte fonda presso un cimitero, al motto de “facciamo presto, che non passi una pattuglia”… Ed è da segnalare – per tempismo e professionalità - la comparsata del gatto: a testimonianza che queste splendide creature sanno sempre quando, dove e come è il loro posto.

Una speranza, infine: che a furia di girare per siti internet, su Youtube ecc., i membri dei “Funereum” scoprano che un brano tratto dalla loro cassetta-demo fece da colonna sonora a questo corto. Anche loro, chissà che fine hanno fatto: già al momento del montaggio finale mi risultarono irreperibili.

LO SPECCHIO E LA PISTOLA

 

Resasi caparbiamente e misteriosamente irreperibile Nadia Cavada, per la quale io e Luigi pregustavamo un qualche soggetto atto a farla interagire con Riccardo Braggion, si decise a un certo punto di realizzare un nuovo corto col “capitale umano” che avevamo a disposizione: cioè solamente lui…

Il corto è basato su un breve racconto di Axel Tonelli*, riportato in sostanza in maniera fedele all’originale; e che ruota attorno alla grazia del suicidio (tema che mi attrae molto: la grazia del suicidio, non il suicidio in quanto tale) e sul fatto che si sia più vivi – o ugualmente vivi – prima o dopo tale atto.

 

Di nuovo quindi un corto statico, limitato nello spazio chiuso di una stanza e tutto imperniato attorno al gesto del protagonista; con l’unica eccezione della scena tra la folla, peraltro venuta non in maniera per me ottimale: a causa della fretta occorsa nel farla, dovendola girare fuori da un centro commerciale e non avendo noi né tempo né voglia di andare a chiedere permessi a chicchessia.

Un ringraziamento alla professionalità mostrata, come già ci attendevamo, da Riccardo e – nell’occasione – alla voce fuori campo di Giuliano Gariboldi; assieme alla raggiunta certezza di poter fare qualcosa di buono, anche dovendo lavorare (non certo per nostra scelta) a “budget zero”.

Ma se noi tre avemmo la soddisfazione di veder realizzato finalmente un lavoro nel complesso all’altezza delle nostre aspettative, rimane il fatto che a riscontri esterni si restò a zero…

 

E a quel punto, vista l’impossibilità di ampliare il percorso a una scala maggiore (leggi medio e lungometraggio) e l’ormai acclarata rinuncia degli altri sodali di tentare la strada del videoclip musicale, lungo la quale avevano potuto contare solo su una manciata di lavori, anche questa branca della mia attività creativa è andata “in sonno”; con un buon numero di soggetti rimasti in fondo al cassetto, in attesa di tempi migliori.

Arriveranno? Mai dire mai, mai smettere di credere ai miracoli, pur sapendo che in Italia sono difficili, molto difficili per ciò che riguarda la cultura.

 

 

  • - Di Alex Tonelli, persi da tempo i contatti, so piuttosto poco: che collaborò col sito “fantascienza.com” e che era (e penso sia ancora) esponente del “Connettivismo”. Per certo è tuttora attivo, perché suoi e-book – l’ultimo dei quali uscito nel 2022 – sono disponibili negli stores virtuali.

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