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CURRICULUM LETTERATURA

 

POESIA

            Nato nel 1956 ad Arco di Trento, architetto, Alberto Rizzi si avvicina alla poesia nel corso dei primi Anni 80, ma solo dal 1991, grazie ai canali apertisi con l'Arte Postale, entra in contatto prima con fanzines e poi con riviste disposte ad ospitare i suoi lavori: inizia così un lungo periodo di testimonianza poetica che trova spazio anche in letture, radiofoniche e non. Quando l'autore si rende conto che con la scrittura riesce a raggiungere un pubblico maggiore e con minor dispendio di mezzi, tempo ed energie rispetto all'arte visiva, nel giro di alcuni anni (alla fine dei Novanta) si ritira da quella, per dedicarsi quasi del tutto alla poesia.

            Durante il periodo che va dal '89 al '93 è significativo il suo apporto ad una fanzine di poesia, poesia visiva e performances, che gli permette di acquisire buona parte dei contatti anzidetti: "The Mouth" (questo il titolo del periodico), fondata e curata assieme al Mail Artista adriese Alessandro Ceccotto, vedrà l'uscita di 12 numeri; e la partecipazione in essi di circa 120 artisti da ogni parte del globo: alcuni di loro (come Amaro, Deisler, Fiorentino, Maggi, Padin) di fama internazionale.

            È sempre dal 1991 che inizia a far circolare le proprie raccolte, sia come autopubblicazioni, sia – quando trova spazio presso editori che non sfruttano la dabbenaggine degli autori, facendoli pagare – presso piccole case editrici indipendenti.

            Riesce così a far conoscere la totalità del suo lavoro un po’ ovunque in Italia e occasionalmente anche all’estero.

            RACCOLTE UFFICIALMENTE EDITE:

"Opera prima - Non voglio morire a Rovigo"; Padova, Ed. Calusca 1994

"Poesie"; Rionero in Vulture (PZ), Ed. Centro Cult. "Prog. Siderurgiko" (Coll. "Un Denaro ") 1998 (materiale in parte tratto da "Situazioni sospese" - all'epoca raccolta inedita - e in parte poi apparso ne "L'armadio cromatico")

"L'armadio cromatico"; S. Bellino (RO), Ed. Archivio della Memoria 2000

“Piccola trilogia nera”; Modigliana (FO), Ed. Criatu 2000 (comprende le tre raccolte brevi autoprodotte “Invettive”, “La traccia che ho lasciato” e “Confessione”. La copertina e tre disegni f.t. sono di Claudio Parentela)

“Poesie incitanti all’odio sociale”; Novi Ligure (AL), Ed. Puntoacapo (Coll. “Format” n°5), 2008

            Sempre dal 2008 l’autore ha dato il via alla composizione della sua “Opera Omnia Poetica”; per diversi motivi questo progetto è stato da tempo interrotto, così che finora sono usciti solo i primi tre volumi, che raccolgono le prime sei sillogi:

Vol. I (comprendente “Non voglio morire a Rovigo” e “In ombra”)

Vol. II (comprendente “Ultimo cerchio” e “Quaderno di schizzi”)

Vol. III (comprendente “Sorridere con gli occhi” e “Quasi per caso”)

 

            RACCOLTE AUTOPRODOTTE:

1991 "Taccuino di schizzi" (con fotocollages)

1992 "Quasi per caso" (poesie illustrate da 21 Artisti Postali italiani e stranieri)

1993 "Come vite da un treno” e "Cerchio n° 1" (poesie visive, con pastelli astratti)

1994 "Situazioni sospese" e "Cerchio n° 2" (analogo al n° 1)

1995 "Invettive"; "Ultimo cerchio" e "Una giornata della vita di Ivano De Nisso" (poesia e poesia visiva)

1996 "Intuizioni aliene"

1997 "La traccia che ho lasciato" e "In ombra"

1998 "Il filo continuo"

1999 "Sorridere con gli occhi" e "Confessione"

2001 "Luoghi accettati"

2002 “Motti e detti dell’altro popolo” e “Varie ed eventuali”

2003 “Esplorando”

2004 “Pensieri sparsi e senza un ritmo preciso”

2005 “La luce, lo specchio”

2006 “Poesie dell’uccidere in volo” (una seconda edizione, parzialmente riveduta, è stata autopubblicata nel 2015 attraverso “Youcanprint”; dal 2018 è scaricabile gratuitamente come e-book presso il sito www.larecherche.it. In questo caso solo la copertina è differente dall’edizione cartacea del 2015)

2007 “Moto in luogo”

2010 “Opera al nero”

2011 “À la carte” (nel 2018 della raccolta è stata fatta una piccola ristampa in brossura e coi testi in parte riveduti e corretti, a seguito di alcune “cene poetiche” di presentazione di questo lavoro)

2014 “Monstra” – (attraverso la piattaforma online “Youcanprint)

2017 “Domande a risposte” – (attraverso la piattaforma online “Youcanprint)

2018 “Achtung Banditen – Poesie per le Nuove Resistenze” – (attraverso la piattaforma online “Youcanprint)

2019 “2017/2018: un annuario” e “Derive senza approdi” – (entrambe attraverso la piattaforma online “Youcanprint”)

2021 “Mappe polesane” (attraverso la piattaforma online “Youcanprint)

2023 "Verba"

            ANTOLOGIE:

1992 "Disfattisti"; Piombino/Ravenna, TraccEdizioni 1992

1994 "Fiori nella spazzatura"; Mogliano Veneto (TV), Ed. Apathya 1994

1995 "Voci nell'oscurità"; Bologna, Ed. Neo-Gothic 1995 e "Oscure malìe"; Pisa, Ed. Ver Sacrum 1995

1996 "Poeti in visione"; Rosignano Solvay (LI), Ed. Casa dell'Arte 1996; "VisPo '96" (annuario di poesia visiva); Houston (U.S.A.), Ed. in proprio 1996 e "Agenda Poetica 1997"; Novi Ligure (AL), Ed. Joker 1996

1997 "VisPo '97" (annuario di poesia visiva); Houston (U.S.A.) 1997; "Voci di poesia"; Bologna, Ed. Pendragon 1997 e "Agenda Poetica 1998"; Novi Ligure (AL), Ed. Joker 1997

1998 "La festa della poesia"; Caserta, Ed. Centro Cult. "La Zattera" 1998

1999 “Blackbird” (a cura di David Stone: poesie, lineari e visive, dedicate a Paul Celan); Baltimore (U.S.A.), Ed. in proprio, 1999

2000 “Maledetti poeti”; Rignano sull’Arno (FI), Ed. Uscita di Sicurezza/Autoproduzioni Crash, 2000 e “Il segreto delle fragole”; Parè (CO), Ed. Lietocollelibri, 2000

2001 “Il segreto delle fragole”; Parè (CO), Ed. Lietocollelibri, 2001

2003 “Oltre i confini del pensiero”; Palazzolo sull’Oglio (BS), Ed. Gr. Cult. “Meteora”, s.i.d.

2004 “Giornata mondiale della poesia – Antologia di poeti e studenti”; Palazzolo sull’Oglio (BS), Ed. ArtEuropa 2004; “Finestre”; Palazzolo sull’Oglio (BS), Ed. Gr. Culturale “Meteora”, s.i.d. e “Da Rimbaud a Rimbaud” (antologia di traduzioni poetiche e di considerazioni sull’opera del poeta francese); Rovigo, Ed. Il Ponte del Sale, 2004

2005 “Che colore ha la pace?”, a cura di A. Boschi; Castel S. Pietro Terme (BO), Ed. Comune di C.S.P.T., 2005 (documentazione dell’omonimo prog. di Arte Postale, con l’inserimento di opere poetiche)

2009 “Atti II Fiera dell’Editoria di Poesia – Pozzolo Formigaro Giugno 2008”, a cura di Mauro Ferrari e Cristina Daglio; Novi Ligure (AL), Ed. Puntoacapo, 2009; “Out Deluxe”, a cura della fanzine “Out” (racconti, poesie anche illustrate a fumetti); Ed. Cagliostro Press, 2009

2010 “Puntoacapo. E due anni dopo”, Novi Ligure (AL), Ed. Puntoacapo 2010.

2011 “Piccola antologia ecologica” (poesie di contenuto ambientalista, scelte dall’autore); Viadana (MN) Ed. Lato Selvatico 2011

2013 “In forma di scritture” – a cura di C. Bugli, P. Della Ragione e G. Moio – Quarto (NA), Ed. Riccardi 2013.

2015 - “World Poetry Yearbook 2014” – Pechino, Ed. The Earth Culture Press (con fondi UNESCO) 2015

2019 – “Una distanza immane” – Civitavecchia (RM) Ed. La Linea dell’Equatore 2019 (poesie brevi scelte dall’autore, alcune delle quali provenienti dale raccolte al momento inedite “Verba” e “Immanenze e persistenze”)

            RIVISTE:

            Images Art & Life, n° 25/93; Ver Sacrum, nn° 5/94 e 7/95; La Clessidra, nn° 1/96, 1/99, 2/00 e 2/06; Freie Zeit Art (A), n°5/96; Hiram Poetry Review (U.S.A.), n° 60/97; Revista Idem (E), n° ?/97; New Hope International, n° 20/98; Alla Bottega, n° 3-4/98; Links (G.B.), n° 3/98; Punto di Vista, n° 17/98; Poesia, n° 121/98 e 184/04; Confini, n° 5/98; Il Foglio Clandestino, numeri vari (’98-’09); Evasion, numeri vari (’97-’04); I Giardini di Hermann, n° 5/99; Jejune (Cz Rep.), n° 9/99; Lateral Moves (G.B.), n° 29/00; Out, n° 5/00; n° 8-9/03 M.I.R. (U.S.A.), nn° 1/01 e 2/01; Il Foglio Letterario, n° 14/01; Pickwick, n° 7/04; Scorpione Letterario n° 2/05; Tam-Tam n° 4/05 e 2/06; Risvolti n° 14/05 e 15/06; Lato Selvatico, numeri vari (dal 2008).

 

            Fanzines:

            L'Assioma Infranto, n° 4/82; The Mouth, numeri vari ('89/'93); I.A.L. (POL), nn° 2 e 3/90; 1.000 Words (G.B.), n° ?/90; Emozioni, numeri vari ('91/'’04); Roisin Dubh (G.B.), nn° 1 e 2/93; Neo-Gothic, nn° 5/94 e 9-10/98; Faerie Fanzine (U.S.A.), nn° 7/94 e 8/95; La Crypt des Reves, n° 0/95; Spazio Libero n° 1/95; Mercurio, n°2/95; Macondo, nn° 6/95 e 7/96; Mito, n° 27/95; Light of the He-Art (HRO), n° 50-52/96; Horror Fatui, n°1/96; Ruggine, n° 1/96; Ov/Est Underground, numeri vari (‘97-’03); Sivullinen (SF), n°21/97; Incesto Culturale, n° 0/97; I Riflessi nei miei Occhi di Vetro, n° 4/97; Pang, n° 2/97; M.O.O.N. Magazine (U.S.A.), n° 26/98; Eden 'Zine, nn° 2/98 e 3/99; Don't tell me what to do, n° 2/98; O!!Zone (U.S.A.), num. unico '98; News from beyond (B), n° 12/99; Anki-Kele, n° 12/99; Oss. Lett. Ferrara & Altrove nn°7-8/99 e 15-16/00; Arlequinal (BRA), nn° 14/00 e 16/00; Fatece Largo, n° 9/01; Autocombustione Spontanea, Feb. ’01; Ellenismos n° 3/01; Lyriclife (HUN), n° 13/01; Crash n° 4/02; Faith of the Heart, Ott./Nov. ’02; Hat (CAN), Mar. '04; I Quaderni di Ipatia, Sett./Ott. '04; Inverso, n° 19/08.

 

            SITI INTERNET:

Dato lo sviluppo che ha assunto il fenomeno dell’informazione online, l’autore ha smesso di tenere nota di siti, blog e pagine di social nei quali sono apparsi suoi testi, interviste o recensioni. Per seguirne l’operato si consiglia di accedere alle seguenti pagine FB: “Lettori e Poesia”, “Poienauti”, “Nuova Officina”, “Lettori tra Bologna e Forlì”, Amici del Circolo Olimpia Morata”: in esse, oltre agli inediti, l’autore dà comunicazione di tutti gli avvenimenti culturali nei quali è coinvolto e fornisce i link per i siti in questione.

 

            RECENSIONI & INTERVISTE:

            Tra il '97 ed lo '05 le raccolte edite in proprio sono state recensite su: "I Medicanti", "La Clessidra", "A Fregua", "Punto di Vista", "Oss. Lett. Ferrara & Altrove", “Nuovi Confini”, “Il Foglio Letterario”, “Crash”.In particolare "L'armadio cromatico" è stato finora recensito su "Oss. Lett. Ferrara & Altrove" n° 15-16/00, "Punto di Vista" n° 26/00, “Crash” n° 3/00, "Nuovi Confini" n° 9/01 e su alcune fanzines italiane e straniere: in particolare, all’estero, una breve recensione figurava sul sito WEB di “New Hope Int” (G.B.). In tali occasioni hanno scritto di lui: Luigi Bianco, Emilio Diedo, Mauro Ferrari, Giuseppina Luongo Bartolini, Maurizio Maggioni, Giovanni Malito (G.B.), Francesco Mandrino, Sandro Montalto, Luciano Nanni, Maurizia Rossella e Selim Tietto Uno studio monografico di Sandro Montalto figura in “Tradizione e ricerca nella poesia contemporanea”, Novi Ligure (AL), Ed. Joker 2008.

            Per quanto appena scritto nel paragrafo precedente, pure delle recensioni online (che si trovano soprattutto nel sito “www.margutte.com) ha smesso di tenere conto. Ad ogni modo la frequenza con la quale sempre più spesso trova spazio in rete, sta poco a poco compensando il silenzio che è calato sulla sua attività prima del presente decennio: come testimonia lo scarno elenco sotto riportato, che copre tutte le sue apparizioni su testate cartacee.

            "La Repubblica Veneta", n° 3/96 (arte visiva e performances; a cura di Arianna Buson); "L'Adige", n° del 25/5/01 (poesia; a cura di Alessandra Chini); “Risvolti”, n° 13/05 e n° 17/08 (all’interno di discussioni sui rapporti artisti-mercato, a cura di Giorgio Moio). Ad ogni modo un’intervista che fa un po’ il punto sulla sua opera – sia poetica che video – è apparsa sul n° del 2/10/08 del settimanale rodigino “Appunti”, a cura di Paolo Braggion.

            Negli ultimi tre anni, interviste sono ricominciate ad apparire o su fanzine online (come “SandfromMars”) o presso piccole realtà locali: come l’emittente “Radio Pieve Nuova” di Tortona (AL), a cura di Andrea Bobbio. Anche la rivista “Risvolti” (grazie a Giorgio Moio) ne ha curate un paio, presenti nei numeri usciti nel 2013 e 2014, accanto a sue poesie, anche visive.

 

            RICONOSCIMENTI E PREMI:

            La poesia "Vento" (da "Ultimo cerchio") fu tradotta, in segno di stima, da Peter Russell (poeta inglese deceduto alcuni anni fa in Italia, che fu grande discepolo di Ezra Pound); un'altra sua lirica fu inserita nel '97 nella "Casa della Poesia", realizzata da Luigi Bianco ("Harta", "I Medicanti", “Il Martello”) a Badolato (CZ).

            Nel 1996 il gruppo di teatro sperimentale bolognese "Teatro Situazionautico Luther Blissett" estrapolò dalla poesia “Ad un fascista” (Tratta da "Invettive") una performance. In segno di stima per il lavoro compiuto assieme (anche in molte altre circostanze) i membri storici del gruppo inseriranno la sua figura in tutti i loro romanzi, da "Q" a quelli usciti poi sotto il nome collettivo di "Wu Ming": confrontare, al riguardo, il capitolo "Titoli di coda" di "New thing" (Wu Ming 1, per le Ed. Einaudi nel 2004).

            Partecipante, per scelta, a pochissimi premi, fu finalista (sotto pseudonimo) alla X Ed. del Premio "Città di Porto S. Elpidio" (AP), nel 1981; premio dell'Ass. Cult. "La Zattera" di Caserta nel 1998 (con la pubblicazione delle opere inviate); selezionato come finalista alla I Ed: del Premio "A. Tanzi", Siena del 1999.

            Le tre poesie presenti su “Out” n° 5/00 ("Avviso di burrasca", "È figlia del ritmo deserto…" e "La sorte ignoro per quegli spicchi d'ajo…"), tratte da “Varie ed eventuali”, sono state illustrate da Simona Petrucci. Un gruppo di altre liriche (da “In ombra”) furono illustrate dalle autrici facenti capo al medesimo periodico, nell’ambito di un progetto di pubblicazione a fumetti, purtroppo rimasto sulla carta, a causa della mancanza di contatti credibili a livello professionale in questo settore. Le tavole si possono però vedere sul già citato sito “Margutte”.

            Sue pubblicazioni sono presenti in biblioteche italiane ed estere: in particolare il progetto “Opera Omnia Poetica”, era finalizzato in primo luogo alle biblioteche nazionali di tutto il mondo, alle quali è stato inviato, finché ha avuto corso; il gruppo più completo delle sue opere fu a suo tempo raccolto presso la “Fondazione Bianciardi” di Grosseto, anche per quanto riguarda i video. Purtroppo, interrotti i contatti per le vicissitudini di questa Associazione, il materiale non è stato aggiornato, terminando con ciò che fu prodotto nei primi 5 o 6 anni di questo secolo.

            Le poesie “C’è una tregua nella pioggia” e “Strad’apèrt’a vento” (tratte dalla raccolta “Luoghi accettati”, ma in una forma precedente a quella definitiva: tanto che la seconda manteneva il titolo originale di “La strada era aperta al vento”) si trovano allegate alla compilation di musica rumoristico-elettronica “Dreams and Nightmares”, curata da Fabio Rosso per le autoproduzioni “Frammenti” di Genova.

            Tra il Dicembre 2001 ed il Febbraio 2002 ha curato tre serate di poesia e prosa, con materiale proprio edito ed inedito (tra cui una versione ridotta di “Ecloghe”), e con la partecipazione di altri autori (Marco Munaro e Sergio Fedele) presso il Teatro di Pezzoli di Ceregnano (RO), nel contesto di iniziative contro la guerra e per i diritti umani.

            Fra il 2002 ed il 2003 inizia una collaborazione con il gruppo musicale di area gotico-romantica “Autunna et sa Rose”, con l’intento di dar maggior visibilità alle proprie opere grazie al supporto della musica. Nasce così il progetto di reading tratto da “Varie ed eventuali”, raccolta uscita nel 2002.

Su “Punto di Vista” sono apparsi, saltuariamente fra il 2003 e il 2005, suoi interventi in qualità di opinionista. Uno di questi, relativo alla proposta di istituire “cooperative di lettori” fu poi ripreso e pubblicato anche dalla rivista “Il Foglio Clandestino”, sul n° 55/04. Il dibattito che porta avanti, per un ritorno a un’editoria “virtuosa” in campo poetico, continua naturalmente sui social, alle pagine segnalate nel paragrafo relativo alle attività in rete.

 

 

            PROSA

            Anche se in maniera secondaria, negli ultimi anni si è rivolto anche alla prosa.

            Ciò si è concretizzato in una decina di brevi racconti, afferenti al genere “dark”, comparsi occasionalmente in rete; e a un romanzo breve ambientato durante gli “anni di piombo”:

2012 “I pesci nel barile”; Vicenza, Ed. Saecula 2012

            Presentato diverse volte durante lo scorso anno (anche a Rovigo), il romanzo ha avuto una positiva recensione su   www.sulromanzo.it   a cura di Alberto Carollo.

            Due anni prima aveva curato “Outbook” (raccolta di racconti di autori gravitanti attorno alla fanzine “Out”); Bagno a Ripoli (FI) Ed. Edarc, 2010.

 

            Nel 2022 è uscito il suo secondo romanzo, "Uomini non di questo tempo", opera via di mezzo tra il noir e il diaristico. Il volume è uscito per i tipi di MazzantiLibri, San Donà di Piave (VE).

Mi è sembrato logico iniziare, inserendo il materiale concernente l’ultimo mio lavoro poetico uscito; a poco a poco le altre raccolte saranno prese in considerazione, andando a ritroso nel tempo.

"VERBA" - 2023, Autopubblicato in proprio.

 

Da qualche anno (dal punto di vista della produzione letteraria da dopo "Achtung Banditen...") ho sospeso la produzione di testi a sfondo sociale, cioè quella che viene denominata "poesia civile": sono convinto che, dopo gli accadimenti "sanitari" avvenuti nelgli scorsi due - tre anni, i giochi siano ormai fatti; e che la società sia stata irrimediabilmente divisa in una maggioranza di servi cerebrolesi (e di chi li sfrutta) e una minoranza consapevole: che resiste e che promuove nuove soluzioni. Obiettivamente se la sta prendendo molto comoda, quanto a proposte, ma la divisione è questa: pertanto chi vuole fare ha già abbondante messe di esempi e suggerimenti (tra cui i miei) a cui rifarsi; la maggioranza si arrangi, per quello che può importarmene.

Ciò ha fatto sì che la mia attenzione creativa si sia rivolta ad altri temi, che fino ad allora erano rimasti in secondo piano; fermo restando che qualche "puntata" nel sociale, nelle precedenti raccolte come "Derive senza approdi" e "Mappe polesane" pur sempre c'era. Come dire, il problema è tutt'altro che risolto ed è ovvio che potrà tornare a far capolino nei miei scritti, quando sentissi che ciò dovesse servire.

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"Verba", com'è immediatamente intuibile, tratta della parola e dell'uso del linguaggio, non necessariamente in poesia; anzi soprattutto nelle occasioni "d'uso comune"; vi è anche spesso presente, qual sorta di "memento mori", il concetto di impossibilità di raggiungere la perfetta sovrapposizionetra significato e significante; e questo anche, anzi soprattutto in poesia, come in qualsiasi forma d'arte. Questo inevitabile scontro con tale applicazione pratica del "paradosso di Achille e della tartaruga", beninteso non ferma tale sforzo; ma va tenuto sempre presente, senza per questo avvitarsi in una depressione personale, che sa molto di maniera, di accettazione del modo di vederci che ha la maggioranza della gente: quella fetta di società, cioè, che non ha capito un piffero di come sia un artista, ma che è sempre più "mainstream", a causa del degrado della società stessa.

Lungi da me l'intenzione di pontificare soluzioni definitive al problema, o verità assolute, confido però che queste riflessioni possano essere utili a quanti si applicano al dibattito intorno a questo tema fondamentale nel nostro lavoro.

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Concludo con un'avvertenza: dovendo ricorrere all'autopruduzione, i costi che propongono le piattaforme di stampa online è lievitato in maniera tale, da non essere più competitivo per chi non ha alcuna speranza di mercato. Pertanto la conseguenza è che quest'ultima raccolta non è reperibile nelle librerie, a parte quella del mio paese: di conseguenza l'unico modo di procurarsela è ordinarla al sottoscritto. L'indirizzo e-m è nell'home page e per la prossima, vedremo: la ricerca di un editore vero è sempre la prima mossa che faccio...

         

 

“MAPPE POLESANE”

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Una delle definizioni che mi piace dare della Poesia, è quella di uno strumento col quale esplorare la realtà: uno strumento che si basa sul suono delle parole, oltre che sulla ricerca di precisione che il loro significato permette. Per questo e fin dagli Anni ’80 avevo deciso di realizzare raccolte, il cui soggetto fosse l’analisi dello spazio attorno a noi.

 

Come primo elemento di quella che è per ora una trilogia (ci sarebbe l’intenzione di scrivere una raccolta anche sullo spazio domestico propriamente detto: ma finora è rimasta lettera morta…), nacque “Luoghi accettati”. Un’autopubblicazione dalla storia piuttosto complicata: costruita attorno a un nucleo di poesie tra le prime da me scritte, ancora alla fine del precedente decennio, e incentrate su Venezia. Estrapolate da quella che era la mia prima, acerba e prolissa raccolta (poi ridotta a quel “Non voglio morire a Rovigo” pubblicato dalla Calusca di Padova nel 1994), ad esse si aggiunsero man mano altre liriche su spazi urbani reali o fittizi.

 

Nel 1999, pronta per la consueta autopubblicazione, la scelsi a causa del non eccessivo valore delle sue poesie, scritte quasi tutte in un periodo nel quale non mi dedicavo a quest’arte con professionalità, come banco di prova per sperimentare alcune particolarità del mio linguaggio poetico, come l’agglutinazione e lo storpiamento delle parole. In questa nuova forma fu appunto autopubblicata come samizdat nel 2001.

 

Ad essa seguì la molto più matura e omogenea “Moto in luogo”, con la quale ero passato all’esame dello spazio più personale dell’abitazione: un’abitazione fittizia e per questo simbolica di ogni altra, l’aspetto interno delle cui singole stanze mi era stato suggerito da alcuni amici (lettori o autori anch’essi), con una parte dei quali sono ancora in contatto. L’opera uscì, sempre come samizdat, nel 2007.

 

È venuto ora il turno di occuparmi dell’ambiente attorno a me, la Provincia nella quale mi trovo ad abitare. “Mappe polesane” nasce da un’esplorazione casuale del territorio: anche se, per comodità del lettore, le singole poesie sono raggruppate secondo un percorso che va da Ovest a Est, nella loro stesura non vi è stata alcuna logica geografica, nessuna scelta motivata di un luogo piuttosto che un altro.

 

Tant’è vero che – caso raro nella mia produzione – vi sono diverse poesie tratte da altre raccolte: “L’Armadio cromatico” (Ed. L’Archivio della Memoria, Castelguglielmo (RO) 2000); “Varie ed eventuali” (che della precedente raccolta, troppo corposa per essere pubblicata completa da un piccolo editore indipendente come quello, era la seconda metà), autopubblicata poi come samizdat nel 2002; “Poesie incitanti all’odio sociale” (Ed. Puntoacapo, Novi Ligure (AL) 2008). La provenienza precisa di queste poesie già edite è segnata nelle “Note di lettura”.

 

Se l’ambiente, sia come paesaggio naturale che antropico, è come ovvio l’attore principale della raccolta, non ho dimenticato quanto il degrado di questa terra dipenda in sostanza dai suoi abitanti, pur se sono lontani i toni di dura denuncia civile, che stavano alla base tanto della citata “Poesie incitanti all’odio sociale”, quanto del suo seguito: “Achtung Banditen – Poesie per le Nuove Resistenze”, autopubblicato lo scorso anno tramite la piattaforma di stampa online “Youcanprint”.

 

Confidando che questa raccolta possa servire da meditazione tanto agli abitanti di quest’area geografica, quanto a chi vorrà visitarla (pur non avendo certo l’intenzione d’essere un baedecker turistico…), auguro a tutti una buona lettura.

“DERIVE SENZA APPRODI” – Lendinara (RO) 2020, autopubblicata tramite “Youcanprint”

 

 

          La raccolta uscita nel 2020 fu “Derive senza approdi” e – col senno del poi – presenta alcuni punti di contatto con la successiva “Mappe polesane”.

 

          Premesso che il tema del viaggio è tema quantomai presente nella letteratura sia prosastica che poetica, “Derive…” fa parte di quelle raccolte di Rizzi che, attraverso lo strumento della poesia, analizzano lo spazio attorno a lui.

          La differenza sostanziale è che “Mappe…” chiude un percorso iniziato con “Luoghi accettati” (autopubblicata nel 2001 in versione “riveduta e corretta”) e proseguito con “Moto in luogo”, la cui autopubblicazione risale al 2007.

 

Questa trilogia era un progetto preciso, volutamente suddiviso nell’analisi dello “spazio-città”, ina quella di una “casa-tipo” (inventata tramite la collaborazione con altre persone che all’epoca corrispondevano con lui) e in quella del territorio nel quale l’autore abita.

L’ordine di composizione e quello di pubblicazione furono casuali; e aggiungiamo che Rizzi ha sempre affermato, che intendeva realizzare una quadrilogia con una quarta raccolta (“De rerum domesticarum”) centrata sul proprio reale spazio di vita domestica: opera che finora non è stata però nemmeno abbozzata.

Al contrario, “Derive senza approdi” nasce motu proprio ed è appunto incentrata sul concetto del viaggio, o - per meglio dire – sull’esperienza del viaggiare: ricordando (come l’autore puntualizza più volte) che il viaggio è in sostanza un’azione fine a se stessa e non il semplice spostarsi da un luogo a un altro.

 

Ci sono però anche punti di contatto: entrambe le raccolte esplorano dei luoghi, o degli elementi che caratterizzano quei luoghi; entrambe, inoltre, sono state composte in maniera casuale e non seguendo un percorso, un tragitto precisi.

Anche per questo motivo nel titolo dell’opera dalla quale ho scelto i tre canonici componimenti, compare il termine “Derive”: con un preciso riferimento alla “deriva psicogeografica” di blissettiana memoria, tenendo presente che l’opera viene concepita verso la fine della partecipazione di Rizzi a quel progetto culturale e artistico.

Per quanto riguarda “Mappe…”, è sì vero che l’impaginazione del libro segue una precisa logica spaziale nella locazione dei siti, cioè da Ovest a Est e da Sud a Nord; ma i luoghi e gli elementi descritti furono scelti a caso, sia durante i percorsi consueti che all’epoca compiva l’autore, sia durante spostamenti occasionali per la Provincia di Rovigo: il che spiega il riutilizzo di alcune liriche scritte molti anni prima e già pubblicate o autopubblicate, ma che ben servivano allo scopo della raccolta.

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"I PESCI NEL BARILE" - Vicenza, Ed. Saecula 2013

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          Avendo annunciato la firma del contratto per il secondo romanzo (“Uomini non di questo tempo”, mi è sembrato utile interrompere l’inserimento di materiale poetico, per la presentazione e alcuni capitoli di questa mia prima prova in prosa.

          Il libro è richiedibile nelle librerie e tramite il sito dell’editore.

 

          La prima stesura de “I pesci nel barile” (che all’epoca non aveva nemmeno questo titolo) è dei primi Anni Ottanta, perciò a caldo rispetto agli avvenimenti storici da cui trae spunto. Proprio per questo, un “attacco diretto” a quel fenomeno politico che fu “Autonomia Operaia” non era consigliabile, anche ammesso che avessi trovato subito una casa editrice: cosa che, col senno del poi e visto il livello del testo di allora, non sarebbe stato possibile. Il punto è che la loro violenza era ancora viva e che in un paese di qualche decina di migliaia di abitanti tutti conoscono tutti…

          Per questo la trama era ambientata in America, con un generico “movimento antagonista” e spostata avanti di una trentina d’anni. Il suo messaggio (tema a me particolarmente caro) era che in certe situazioni l’unica soluzione non è “cercare di cambiare le cose dall’interno”: ma costruire una nuova realtà, basata su ciò che si ritiene giusto e con chi sia disposto a lavorare con noi.

          Nei decenni successivi le cose cambiarono in meglio, a livello di sicurezza personale; e quando ripresi il testo con maggior serietà, impegno e capacità (anche se continuo a definirmi un poeta prestato alla prosa) questo messaggio, col fallimento dei protagonisti del romanzo, va un po’ in secondo piano e la strategia di costruire qualcosa “fuori” è solo accennata; anche se l’inutilità di quelle scelte dovrebbe essere ben chiara.

          Essendo tornato a chiamare le cose col loro nome e facendo agire personaggi legati a un non meglio identificato centro urbano di medie dimensioni della Pianura Padana, mi focalizzai su altri obiettivi. Il primo e più importante di essi è l’incapacità di persone scarsamente dotate di capacità critiche, di portare avanti una rivoluzione.

          In sostanza tanto il protagonista principale che molti di quelli secondari hanno diversi handicap, di volta in volta familiari, culturali e di disagio sociale. Finiscono così con l’essere facilmente manovrabili da chi ha le idee più chiare di loro: col risultato di fare, senza accorgersene, il lavoro per “il nemico”, anziché ciò che credevano di fare davvero.

          È il paradigma che si è verificato in pratica con tutte le “Rivoluzioni” messe in atto dalle ideologie negli ultimi due secoli: da una situazione di degrado sociopolitico si sviluppa una forza trasversale alla Nazione interessata, che sinceramente tenta di risolvere il problema anche ricorrendo a mezzi estremi. A poco a poco ad essa si sostituisce una “classe dirigente”, che pian piano svuota il Movimento delle intenzioni più pure, toglie di mezzo più o meno violentemente chi lavorava in buona fede e realizza così gli obiettivi propri e del settore sociopolitico alla quale appartiene; rendendo la Rivoluzione, quando ha successo, solo il restauro della facciata di un vecchio edificio.

          Lascio a chi mi legge la briga di trovarsi gli esempi storici che preferisce…

          Coinvolti in un “Caso Moro” in sedicesimo, i protagonisti del romanzo, membri di uno scalcinato gruppo dell’Autonomia, vengono manipolati e coinvolti appunto in un rapimento, che nulla ha a che vedere con la costruzione di una società comunista, anche se loro sono convinti di questo.

          Carne da cannone, nel loro piccolo, così come lo sono stati i popoli negli episodi storici a scala molto maggiore.

        Al lettore può interessare sapere che, per quanto ambientazione e trama siano fittizie, molti aneddoti narrati nel libro accaddero veramente, in quel microcosmo che fu l’Ultrasinistra degli Anni Settanta. Per meglio far risaltare la debolezza dei personaggi descritti e far comprendere come individui del genere non abbiano appunto la capacità di cambiare la Storia; ma solo di essere usati per farlo.

1. INCIPIT, I

“E appunto come lepre correva Gigi in quel pomeriggio assolato per le vie del centro...”

(Centro città e prima periferia, 26/06/1979)

 

Il cristallo della vetrina andò giù come pioggia sotto il colpo dell’ariete improvvisato. Mollato lì dalla dozzina di mani che lo reggeva, il trave mandò a terra un paio di televisori e qualche stereo, poi fu abbandonato fra quei resti. E nel fuggi fuggi di clienti e commessi al riparo fragile di una porta d’ufficio, quel pugno di giovani autonomi staccatosi a scheggia dal corteo si fiondò di dentro, alcuni lavorando di slogan spray sopra oggetti e pareti, altri arraffando un rasoio o una radio, per poi farne smercio.

Ma (“La pula! La pula!”), per quanto rapida e studiata fosse stata la loro azione, ecco un gruppo d’agenti in corsa pronti alla riscossa, sotto lo sguardo ammirato d’un qualche signore perbene, appena trattenuti da alcune molotov lanciate da quelli rimasti fuori a far da palo, i ranghi rotti quel tanto da permettere ai giovani d’uscirsene e via di corsa, chi per una strada chi per un’altra.

E appunto come lepre correva Gigi in quel pomeriggio assolato per le vie del centro, braccato da un paio di pressanti celerini, che gli pareva d’essere l’unico sfigato del gruppo, ad avere gli sbirri dietro. Fece cadere in mezzo la sedia di un bar come ostacolo (ma quelli niente: anzi, via elmetti e scudi in plexiglass, fossero impasticcati o soltanto da giorni infoiati all’idea di massacrare qualcuno a botte calci pugni). Via allora per le strade del centro dove un cittadino più solerte rimediò una gomitata al volto per aver tentato di placcarlo credendolo ladro.

E poi ancora giù per vie meno nobili (ma quelli ancora dietro), via per marciapiedi sempre meno affollati (ma quelli sempre dietro), col fiato che già gli cresceva corto e intanto la speranza che si scorciava. Allora indietro di nuovo verso il centro, cercando così di ritrovare confusione di gente e, fra quella, riparo. Gigi doppiò l’angolo di una strada che dalla prima periferia tornava alla città più vera e ne costeggiò l’alto muro dall’intonaco grigio e a tratti sbrecciato. Un’idea. E fulmineo come quella il salto a cercare la presa con le scarpe da tennis fidate su alcuni mattoni vecchi sporgenti e sgangherati. Con l’ultimo fiato nel sincrono pregare che non vi fossero cocci di vetro in sommità, si diede la spinta per scavalcare un attimo prima che i segugi s’affacciassero all’angolo.

Gigi atterrò dall’altra parte, in un rotolìo confuso di gambe e braccia, ormai privo di fiato. Immobile, panciaingiù sull’erba, a sentire il suo respiro frangersi forte nei polmoni. Un dolore vago a un polso e a una caviglia: no, niente di grave. Sensazione di non essere solo. Cani? (Oh cazzo, cani no! Meglio gli sbirri!) No. Nessun abbaiare. Nessun rumore particolare.

Alzare piano la testa e ruotarla un poco, con cautela, dalla parte opposta al muro, nel respiro ancora bello corto. Guardarsi attorno, per quanto possibile, senza alzarsi da lì. Alberelli in file ordinate (e le voci dei pulotti da di là del muro: “Cazzo, è saltato di là, ti dico!” “Sei scemo? Con che, con le ali? Corri, corri!”) e fiori raggruppati per colore.

A una decina di metri sulla destra, in mezzo a quegli alberi, un uomo sulla quarantina lo guardava fisso (i passi pesanti degli sbirri già lontani), una zappa fra le mani. Con un unico movimento l’uomo la impugnò come un bastone e fece tre passi verso di lui. “Sei un ladro?” Il giovane tentò di rallentare il respiro, di concentrarlo nei muscoli delle gambe: l’altro era ancora abbastanza distante, se la caviglia reggeva poteva tenerselo alla larga quel tanto che… (lo scoppio lontano d’un candelotto lo fece trasalire) “Ho capito. Sei uno di quelli che stan facendo la rivoluzione in centro.”

La zappa fu abbassata, poi lasciata a terra. “Qui l’isolato è alla fine, ci sono poche case ancora, pochi capannoni, poi campi: se qualcuno ti correva dietro, è possibile che capisca e venga. Però puoi scavalcare di nuovo il muro, se sono abbastanza lontani e non ti sei fatto male.” Mentre gli parlava, con la voce calma come a una bestia impaurita, gli si era avvicinato fino a un paio di metri. “La scala. Dietro di te. Fai presto, la rimetto a posto io.”

Gigi finì di alzarsi con uno sguardo di sbiego e un tentativo di sorriso di gratitudine che gli regalava, sulla faccia piena di efelidi, un’espressione più che altro da idiota: simile a quella di certi ragazzini che, solo per pigrizia, non hanno imparato la lezione e sono presi in castagna da un’interrogazione imprevista. L’uomo ricambiò a sua volta, senza cambiare espressione degli occhi, senza smettere di fissarlo. Un sorriso, quello, che al ragazzo mise paura. Si affrettò a poggiare la scala al muro, volgendogli a tratti gli occhi, come a sincerarsi che l’altro non cambiasse idea. Poi vi salì e sbirciò oltre. “Per essere pari, non andarlo a raccontare in giro. A nessuno, neanche ai tuoi amici, intesi?” Gigi assentì ancora stravolto, guardò bene dall’altra parte, risaltò giù in strada.

Meno di cinque minuti dopo, il proprietario del Vivaio Lazzarin spiegava nel suo ufficio a due celerini trafelati, assetati e sudati come cani da corsa che no, si capisce, nessuno si era introdotto nel recinto. E, figurarsi, se qualcuno ci provava lo stendeva a randellate.

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9. UNA RICHIESTA DI LAVORO

“Sono gente seria, i Lazzarin...”

(Qui e là nella periferia cittadina, 18/08/1979)

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“Perché no?” si chiese Gigi, disteso a occhi aperti sul proprio letto. Non era una mattina di quelle in cui aveva tanta voglia di alzarsi anche se, ora che le vacanze estive erano finite, bollette e altre scadenze si facevano sotto: roba di poco conto ma che sua madre, coi lavori saltuari di domestica e sarta, faticava ad affrontare.

A Gigi piaceva rimanersene lì a consumare il tempo. Aveva scoperto che in questo modo, aiutato dal ritmo della luce che cresceva nelle giornate buone, entrando dagli interstizi fra le stecche della persiana a compensare il buio della stanza, i suoi pensieri correvano meglio. Come in quei film del sabato sera, dove ai saggi orientali le idee vincenti venivano standosene rigorosamente seduti e, soprattutto, comodi...

“Perché no?” era la domanda che gli ronzava nel cervello da un paio di settimane, da quando, guardando le coppie al ballo, aveva chiesto a Edna: “Mi ci vedresti a lavorare la terra? Cioè, se invece di continuare a cercarmi un lavoro in fabbrica, o chiedere di farmi assumere dai parenti di Guglielmo - li hai visti anche tu al funerale, son quattro stronzi - cioè, se coltivassi un campo o piantassi alberi, mi ci vedresti?”

“Perché no?” gli aveva appunto risposto lei. “E a me mi ci vedi a passare i miei giorni dietro la cassa di un supermercato di merda, con dei padroni di merda che ogni momento è buono per provarci, o che quando manca qualcosa da uno scaffale ti puntano per prima, perché sanno benissimo che sei comunista e per loro comunista uguale ladro? Però lo faccio, ed è quasi un anno. E lo sai? Un’altra delle cose che mi piacciono è proprio veder crescere l’erba o una pianta, anche in un vaso… Sì, penso che se tu lo facessi, ti invidierei.”

Così Gigi deciso si alzò dal letto, tirò su la tapparella altrettanto deciso, ricevendo in pieno viso un sole amico, infilò il corpo secco nei vestiti di sempre, grugnì un saluto alla madre (la quale gli grugnì di rimando) e, senza neppure lavarsi la faccia, se ne uscì.

Dopo aver attraversato un paio di isolati, si fermò. Entrò in un bar, perché davvero aveva bisogno di metter qualcosa sotto i denti e poi perché la sua mente aveva ripreso a correr dietro a domande.

 

“Cece, cosa mi sai dire di Lazzarin, quello del vivaio?” chiese all’uomo dietro al bancone, comunista da sempre.

 

“Che lavora bene. Sono gente seria, i Lazzarin, è da prima della guerra che piantano alberi. Prima avevano anche un negozio, l’han chiuso quando sono morti i vecchi.”

 

“Ma lui non è un compagno.”

 

“In casa son sempre stati antifascisti. Sua madre e suo padre erano socialisti come i nonni e qua intorno sappiamo tutti quello che hanno fatto e cosa gli è capitato durante la guerra. Quanto a Livio non si è mai iscritto da nessuna parte, se è questo che vuoi dire, ma è sempre stato antifascista, sì. E anche dopo la guerra ne hanno aiutati tanti, di compagni.”

 

(Già…, pensò Gigi: non era nulla di più di quello che aveva sempre sentito dire in giro. Per non parlare di quello che aveva sperimentato di persona non molto tempo prima. Pagò, salutò e uscì.)

E allora, perché una parte della decisione che l’aveva accompagnato fino al momento d’entrare nel bar se n’era andata, e il passo era più lento? Aveva altre scelte? Entrò in una cabina, si appoggiò al telefono, compose il numero di un conoscente al quale, giorni prima, aveva chiesto notizie per un lavoretto al mercato. Occupato. Fece il giro dell’isolato e riprovò: occupato. Destino. Riprese la sua strada.

L’ingresso al vivaio era spalancato: ne stava uscendo un piccolo camion con due uomini. Il più giovane, quello alla guida, si sporse verso il ragazzo.

 

“Ciao. Oggi non ti corre dietro nessuno?”

 

“Io… avevo bisogno di parlarle un attimo.”

 

“Dimmi, basta che sia davvero un attimo perché, lo vedi, siamo di fretta.”

 

“Sì sì.”

 

L’uomo spense il motore e scese.

 

“Allora?”

 

Ancora gli stessi occhi che lo fissavano come quel giorno di giugno: sereni, ma in guardia ad afferrare qualsiasi cosa avvenisse intorno. Ancora quella sensazione simile alla paura che gli fece deviare lo sguardo.

 

“Io mi arrangio lavorando qua e là. Adesso la persona che più mi dava da lavorare è morta e ora… avrei bisogno di… un po’ di soldi. Tu… lei mi ha già dato una mano una volta, pensavo se potevo lavorare un po’ qui. Però questo lavoro non l’ho mai fatto.”

 

L’uomo continuò a fissarlo, valutando il leggero nervosismo della sua voce, più che quello che aveva detto.

 

“Sì. Di qualcuno in più ho spesso bisogno, magari non a tempo pieno. Va’ in ufficio, c’è la Luisa: avrà un sacco di cose che puoi fare da subito, poi parleremo meglio oggi pomeriggio, quando torno. E non badarci se non l’hai mai fatto, si capisce presto se uno ci sa fare o no: una settimana, a volte anche meno.”

 

Gli voltò le spalle, risalì sul camion, mise in moto e andò verso l’uscita. Mentre Gigi rimaneva lì impalato in mezzo al cortile (lui che quasi quasi si era augurato di sentirsi rispondere no), Livio Lazzarin si sporse dalla cabina a salutarlo e ripartì.

Luisa era una donna sui venticinque, i capelli castani tagliati appena all’altezza delle spalle, senza trucco e con occhi sereni, che a Gigi ricordarono quelli del proprietario. Ma sapeva che Livio non aveva fratelli e perciò gli passò subito per la mente che quella potesse essere la sua donna. Notò che camminava scalza sul pavimento di cotto, per abitudine, non certo per povertà: l’abito leggero a quadri era privo di qualunque orpello, ma perfettamente lindo e in ordine.

 

“Se Livio ti ha detto che deve parlarti più tardi, è meglio che rimani qui, qualcosa da mangiare facciamo presto a farlo, anch’io tante volte mi fermo. Sai, Livio può tornare alle due come alle sei.”

 

Gigi la fissava incerto.

 

“Tante volte lo fanno anche gli altri: chi lavora a giornata, si fa tirare via il pranzo dalla paga. Oh!, non ti preoccupare, questo non è un ristorante, con due o tremila lire siamo pari…”

Fu così che si ritrovò con una scopa in mano a pulire dei locali, e terminò la mattinata spostando di qua e di là vasi e cassette di piantine, dietro le vigili indicazioni di lei. Durante la pausa per il pranzo se ne stette sulle sue, né Luisa gli diede corda; a parte i convenevoli di rito e quel minimo di conversazione focalizzata sul cibo.

 

“Ma dove sono capitato?” pensò a un tratto, notando che Luisa indossava una catenina con una croce celtica d’argento. “Alla faccia dei compagni! Questa sarà meglio che Livio me la spieghi, quando torna.”

 

Ma Livio tornò solo quando mancava poco alle sei. Gigi, stanco morto per il continuo via vai per i capannoni, nemmeno si accorse del rumore del camion.

 

“Ciao Gigi, fermati un attimo.”

 

Gigi si voltò e lo squadrò con un’aria perplessa.

 

“Ti chiami così, no? Io sono Livio.”

 

“Sì, lo so. Senti, io…”

 

“No, senti tu. La Luisa mi ha detto che ce l’hai messa tutta: questo non c’entra molto col lavorar la terra e far crescere le piante, non è detto che ci sei portato. Però è una cosa buona. Allora, resti qui una settimana in prova: se va bene ti confermo per un mese, e per l’autunno, se ancora t’interessa, si vedrà. Prima di andartene, lascia alla Luisa la data di nascita e quello che serve per metterti in regola col libretto. Se hai bisogno di un po’ di soldi, fatteli dare da lei, in anticipo sulla settimana.”

 

“No, io… Va bene tutto a fine settimana.”

 

“Qualcosa non va?”

 

“No.”

 

“Bene così.” (Ma il suo sguardo diceva “Non ci credo ma se non me lo vuoi dire ora fa lo stesso”). “Domani ti dai da fare con Marsilio, quello che hai visto in camion con me. Fai tutto quello che ti dice per filo e per segno, anche se ti pare di non capirci niente: che sappiano certe cose come le sa lui, ce ne son rimasti pochi.”

 

Gli voltò le spalle e si diresse verso l’ufficio. Prima di entrare si girò per dirgli ciao.

 

 

23. AVVISAGLIE, II

“Era frustrante starsene lì, mentre gli altri facevano qualcosa e lei non ci capiva nulla.”

(Gli appartamenti di Edna e di Lara, in momenti diversi, 01/11/1979)

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(Edna)

 

Cos’era che non andava in Gigi? Edna se l’era chiesto per molti giorni e per parecchie volte. Aveva intuito quasi subito che c’entrava quello che il gruppo stava preparando, e che si trattava di qualcosa di grosso. Ma guai a toccare l’argomento con lui, a cercare di cavarne fuori qualche parola.

Gigi aveva sfoderato una varietà impressionante di atteggiamenti, su quella faccenda: da protettivo nei suoi confronti a incazzato. E più passavano i giorni, più l’incazzato diventava l’atteggiamento prevalente. Viceversa, Edna era passata dall’incazzatura per quell’atteggiamento protettivo che la faceva sentire una bambinetta stupida, alla remissività: ormai consapevole di non avere alcuna chiave per entrare, di non riuscire a trovare nessuna crepa in quel muro.

Cos’era che non andava? Non potendo trovare una risposta in lui, iniziò a pensare che quel che non andava fosse in lei. Forse aveva dei limiti a causa dei quali non arrivava a capirlo, o forse non le riusciva molto bene il ruolo della compagna di un attivista politico.

Ma anche questo la faceva arrabbiare: cent’anni di lotte, il ’68, il femminismo non erano serviti a nulla? Cioè, i compagni parlavano e parlavano, ma alle rimostranze, alle proposte in chiave femminista poi facevano spallucce, risolini, quando si trattava di affrontare un problema secondo quella logica. Allora erano proprio come tutti gli altri: la donna da coccolare, da scopare, da portare in giro, ma quanto a condividere le cose serie, profonde, quelle che fanno la differenza... Edna non ci stava, ma non poteva farci nulla. Gigi aveva tirato su un gran bel muro e, in cima, filo spinato e cocci di bottiglia.

Quella mattina le aveva detto: “Vado via. Non ti lascio ma devo andare via, non cercarmi. Non so per quanto tempo sarà ma, te l’ho detto tante volte, certi rischi non te li farò correre. In qualche modo, prima o poi, ti farò sapere.” Le aveva dato un bacio come alla più cara delle sorelle, aveva girato i tacchi e via sul motorino.

E lei, a occhi sgranati davanti al supermercato, che non sapeva se gridargli di tornare o mandarlo all’inferno, ma che tanto non avrebbe trovato la voce nemmeno per un monosillabo. Lei, a occhi sgranati, con quelle parole nella mente, che le sembrava di essere dentro un film, dentro una storia non sua. Dentro una maledettissima, inutile cazzata.

 

 

(Lara)

 

Lara era il tipo che voleva capire tutto e che se non capiva s’incazzava di brutto; e per capire tutto, doveva sapere come ovvio almeno più cose possibile. Quando tutto ciò non le riusciva e perciò, appunto, s’incazzava, se non aveva qualcuno su cui sfogarsi a suon di volgarità, si chiudeva nella sua stanza: e lì cominciava a metter su dischi di punk e disfaceva il letto, riducendolo peggio di una cuccia per cani; se non bastava, passava a tutte le cose che fossero lanciabili in giro senza rischi per se stessa o il mobilio, dal cuscino della poltrona, ai peluche, ai vestiti.

Era l’1 di Novembre cioè festa, si sarebbe potuto andare chissà dove in città a scalmanarsi un po’, o citando il Guccini di “Via Paolo Fabbri, 43” al limite a scopare: invece Walter l’aveva mollata come un cane. Dopo poco meno di quaranta minuti (il tempo di una cassetta dei Ramones), la sua stanza sembrava Berlino bombardata dalla R.A.F. trentacinque anni prima.

Tanto, non aveva risolto niente. Ci aveva provato in tutti i modi, con le buone e con le cattive: nonostante Walter fosse poco più che un coglione anche dal suo punto di vista (non solo da quello di Guglielmo, che riposi in pace ma porca miseria coglione pure lui, che però almeno scopava bene), era sempre riuscito a glissar via.

Parlarne con gli altri era semplicemente da idioti: Riccardo doveva aver capito e sapere, almeno a grandi linee, e l’affare doveva essere grosso e bello peso, se era sparito così. Lo Zingaro l’aveva fulminata con un’occhiata, appena aveva solo sfiorato l’argomento. I due studenti erano abbottonatissimi e Gigi non aveva parlato nemmeno con Edna, l’aveva capito dal suo muso un paio di giorni prima. Quanto agli altri, semideficienti o drogati duri com’erano, al massimo l’avrebbero presa per il culo con una buona dose di volgarità.

Lara era così: doveva avere sotto controllo ogni cosa. Spesso con i suoi molti uomini tirava fuori la gelosia (suscitando risate, visto il pulpito da cui veniva la predica), altre volte non dava alcuna spiegazione. Questione di carattere, diceva. Ma era frustrante starsene lì, mentre gli altri facevano qualcosa e lei non ci capiva nulla.

Era frustrante. Sapeva di essere perfettamente inutile.

2017 – 2018 (UN ANNUARIO)

 

 

       Nel corso degli anni ho preso l’abitudine di suddividere le mie raccolte in “normali” (oltre le 50 pagine) e “brevi” (sotto quella cifra): le prime le pubblico in linea di massima ogni anno; le altre, quando capita. Nel 2017 decisi di farne una, in forma “diaristica”, che raccontasse gli accadimenti di un anno solare; dando per scontato che, per quanto potessi scrivere mese per mese poesie relativamente lunghe, ne sarebbe comunque uscita una raccolta breve.

 

       Ne è uscita fuori una “meditazione” sugli aspetti di un anno nel quale non accaddero cose particolari e che – per mia comodità – feci andare da un Marzo a un altro, essendo stato in quel mese che maturai la decisione. Questa scelta mi permise, col senno del poi, di far riflettere i lettori (come del resto accennato anche qui e là nei testi), sul fatto che la data universalmente accettata come “Capodanno”, sia una data del tutto insignificante nel volgere delle stagioni, che segnano la vita della Terra e quella nostra.

E come invece una data così importante dovrebbe appunto essere legata a un momento particolare nel corso dello scorrere ciclico del tempo: quel che giustamente accadeva nelle società antecedenti all’imposizione delle “religioni del libro”.

 

       Posso dire che il volumetto ebbe più successo “di critica e di pubblico” (se si può fare un ragionamento del genere nell’ambito delle autopubblicazioni), di quello che mi aspettavo. A ennesima dimostrazione di come i desiderata e il sentire di un autore divergano dalle decisioni, che di volta in volta prendono i suoi lettori…

“ACHTUNG BANDITEN – POESIE PER LE NUOVE RESISTENZE” (autoprodotto, 2018) – “POESIE INCITANTI ALL’ODIO SOCIALE” (Novi Ligure (AL) 2008, Ed. Puntoacapo)

 

        Nell’andare a ritroso nel tempo, tra le mie raccolte si trova a questo punto “Achtung Banditen…”; della quale però è impossibile parlare, senza prima aver spiegato “Poesie incitanti…”: essendo quella la logica continuazione (e fine) di questa.

 

        “Poesie incitanti all’odio sociale” nasce dunque con l’intenzione di mettere un punto finale alla lunga ricerca sul tema dei “subumani”, spesso presente - magari anche solo occasionalmente – in quasi tutte le mie raccolte.

        Volutamente disturbante fin dal titolo, scelto per tenere lontani da essa le persone incapaci di una visione non convenzionale delle cose ed attirare invece quelle capaci di ciò, la raccolta avrebbe dovuto chiudere detta ricerca; sancendo la necessità, per poter vivere dignitosamente e schermarsi dall’ostilità della maggioranza della gente, di azioni che superassero la logica dell’altruismo fine a se stesso e si rivolgessero solo a beneficio di chi è diverso dalla massa.

 

        Se dal punto di vista poetico la raccolta mi soddisfò pienamente (e l’aver trovato un editore che vi credesse e la supportasse correttamente, mi confortò sempre in questa mia idea), a livello di contenuto l’ho sempre considerata un po’ fuori bersaglio.

        Il continuo riesame a cui sottopongo i miei testi, mise alla luce che nella circostanza essi contemplavano una visione dominata per lo più da una rabbia lucida, ma anche poco propositiva.

        Al di là delle enunciazioni e delle conclusioni a cui giungevo, occorreva un testo che superasse la denuncia dello stato di fatto, che nella raccolta si esprime solo a livello di speranza; serviva quindi un testo che si ponesse in maniera più attuativa nei confronti del lettore.

 

        Diversi anni dopo, perciò, misi mano ad “Achtung Banditen…” riprendendo lo slogan che i nazisti usavano per identificare i Partigiani; ed equiparando ad essi, in primo luogo e all’epoca, coloro che manifestavano contro lo scempio ambientale compiuto dalla costruzione della linea “T.A.V.” in Val Susa; non a caso a loro dedicai la copertina.

        Col senno del poi, devo complimentarmi con me stesso per la lungimiranza precognitiva, che vede quanto accaduto in questi ultimi due anni, come il più serio tentativo di trasformare in una società totalitaria quella italiana: marcia sì (o addirittura in decomposizione), ma nella quale esistevano ancora “crepe”, piccoli spazi e possibilità di libera espressione.

        Così da poter affermare da un lato che chiunque si opponga alle misure liberticide imposte con il pretesto della pandemenza iniziata nel 2020, merita la considerazione che va tuttora ai Partigiani di ottant’anni fa; e d’altra parte merita anche l’etichetta di “banditi”, appioppata loro – accanto a termini anche più squallidi – sia dal Potere, che dagli odiatori compulsivi tanto utili alla realizzazione dello sfascio sociale che incombe su di noi.

 

        E come in “Poesie incitanti all’odio sociale”, come in tutte le precedenti raccolte nelle quali – magari di sfuggita – affrontavo il tema del rapporto tra noi e i subumani di cui ho appena scritto, la soluzione non può essere che quella da sempre suggerita: non curiamoci di loro, ma lavoriamo per noi; e per quelli che, cammin facendo, vorranno raggiungerci.

        Soluzione “asociale”, specie dal punto di vista di chi ci vorrebbe così fessi, da sacrificarci anche per chi ha voluto il nostro male; ma se l’uomo è – per fortuna – un animale sociale, tale socialità dovrà essere rimodulata, se vorremo sopravvivere e tornare a ricostruire una società civile, opposta a quella che chi governa – spesso per conto terzi - sta sforzandosi di realizzare.

UOMINI NON DI QUESTO TEMPO

 

 

               Dal 1998 al 2000 frequentai una scuola cinematografica e teatrale e di seguito provai a realizzare un certo numero di corti (tutta la storia e i risultati relativi si vedono nella pagina del sito a questo dedicata), sperando – assieme alle altre persone coinvolte in tali progetti – che questi potessero aprirci qualche porta verso traguardi di maggior portata. La speranza è l’ultima a morire, a prescindere da quanto potessero valere quelle prove; e – soprattutto - quando un “indipendente” che non lecca piedi o altre parti anatomiche, sa di avere a che fare con l’ambiente “culturale” italiano…

               Accanto a quelle esperienze realizzate, c’è tutta una produzione di soggetti per corto e lungometraggi che, assieme a quattro o cinque pièce teatrali di dubbia caratura, è rimasta a impolverarsi nei miei cassetti e, più di recente, nelle cartelle della memoria del PC.

               Uno di questi titoli, che in origine si chiamava “Tre vendette”, fu a suo tempo portato fino a livello di sceneggiatura: perché come da italico copione era saltato fuori un tizio, che millantava la possibilità di realizzarlo in film. Tempo perso, come logico; però trovai quel lavoro convincente e così, quando decisi di scrivere un secondo romanzo, lo sviluppai partendo dal relativo trattamento.

               “Uomini non di questo tempo” rimane fedele all’originale, se non per un cambio nella trama, giustificato dal fatto che questo è un libro, quello un film e dunque i rispettivi livelli di fruizione sono differenti: in altre parole la lettura mi è sembrata mezzo più adatto per estendere le riflessioni anche sulla messa in pratica del perdono, oltre che della vendetta.

               Sia detto per inciso, la decisione di misurarmi di nuovo con la prosa fu alquanto masochistica, risolvendosi in una fatica di Sisifo; o di Penelope, visto quante volte mi fermai disfacendo certi capitoli o certe loro parti; anche perché cercai, tecnicamente parlando, di fondere il “noir” col romanzo “diaristico”. Da un certo punto di vista, il colpo di genio fu quello di eliminare quasi del tutto i dialoghi diretti: che per me sono la parte più difficile del mestiere di romanziere… Il che significa che, magari, il testo è risultato di una noia pazzesca, oltre che poter venire considerato “né carne né pesce” da parte del lettore: per quella commistione di cui ho scritto appena sopra.

Tutte considerazioni che mi spingeranno a pensarci bene, prima di scrivere un terzo romanzo…

15

 

 In città se ne ricorderanno tutti, del 24 Agosto 1999.

Una settimana prima avevo detto a Luca: “Prendi l’abitudine di farti un giro a piedi di un paio d’ore, la mattina presto; esci verso le 6 e senza telefonino. Fra qualche giorno, ti dirò io dove andare e cosa fare di preciso.”

La notte precedente l’ho passata nel mini di Mauro; quando era già buio, era passato da me, gli avevo dato le chiavi dell’auto e mi son fatto seguire, mentre portavo la moto in un casolare abbandonato, ma non lontano dalla città. L’ho nascosta dietro una pila di cartoni, in uno degli ambienti vuoti di quelle che erano le stalle e sono andato a dormire da lui; i cartoni li avevo ammucchiati lì da un po’ di tempo, da quando avevo capito che per risolvere il problema di Mauro, avrei avuto bisogno della moto.

Sotto il mio condominio ci aspettava Luca; gli ho dato le mie chiavi e gli ho detto che alle sei del giorno dopo sarebbe dovuto andare a casa mia: la consegna era di rimanere nell’appartamento fino al mio ritorno, stando bene attento a non farsi notare da qualcuno, al momento di entrarci; e di lasciarmi una nota dell’ora di eventuali chiamate alla segreteria telefonica. Null’altro.

Un po’ dopo le quattro, prima che facesse troppa luce, io e Mauro abbiamo ripreso la mia auto e siamo tornati alla fattoria disabitata; nascosta la macchina, siamo rimasti ad aspettare per tutto il tempo utile, così da arrivare in tempo nella zona dove avremmo atteso il chirurgo: della sua presenza in ospedale ero sicuro, perché avevo fatto una telefonata sotto falso nome il giorno prima, da una cabina.

La moto l’avevo truccata, imitando una delle tante livree di quel modello, con pezzi di carta adesiva colorata a simulare scritte e decorazioni; non certo un lavoro perfetto, a guardarla da ferma: ma non sarà nel nostro programma andare piano… Sulla targa ne abbiamo sovrapposta una finta, di cartoncino pesante, con un’immatricolazione di fantasia; fermagli e un po’ mastice dovrebbero essere sufficienti a che non voli via. Siamo vestiti uguali, con giubbotti di pelle e jeans della stessa foggia e dello stesso colore; i caschi che indossiamo, li ho presi apposta, usati, in un negozio di una città molto lontana da qui.

Ci siamo imposti di non dire una parola, dal momento in cui si saliva in moto, a meno che non fosse stato strettamente necessario. Un po’ prima delle otto eravamo in una laterale del vialone che porta all’ospedale, da dove potevamo tener d’occhio d’infilata la corsia che avrebbe percorso il nostro uomo. Io sempre in sella, Mauro in piedi accanto a me, fingevamo di bere birra da due lattine vuote. È stato lui a vederlo per primo e non abbiamo avuto problemi a seguirlo fino al parcheggio coperto. Da lì le cose sono andate un po’ diversamente da come le avevo visualizzate.

Mauro è sceso e ha estratto l’arma, io ho girato la moto rimanendo in sella e senza spegnerla, ma lui non ha aspettato che quello si muovesse verso l’ascensore: l’ho visto accelerare il passo e raggiungerlo quando il medico aveva appena chiuso la portiera; l’ho visto fermarglisi davanti e, mentre quello cominciava a capire, ad avere paura, si sollevava la visiera dell’integrale.

Ho riacceso la moto e più presto che ho potuto gli sono arrivato dietro, sgasando mentre mi fermavo; a quel punto ho visto il medico che con un gestaccio mandava a quel paese Mauro e subito girarsi. Non doveva nemmeno essersi conto della pistola che Mauro aveva in mano, ma ho visto benissimo il braccio del mio amico alzarsi, il revolver sparare quattro volte: tutte alla schiena e a bruciapelo.

Rapido ma senza fretta, Mauro si è riabbassato la visiera ed è rimontato, mentre io mi dirigevo a razzo verso la rampa d’uscita; dietro di noi una donna urlava e, dallo specchietto, potevo vederla correre il più lontano possibile da dov’era caduto il corpo.

 

 

 

 

17

 

 C’è un sacco di cose che uno può fare, mentre attende; oltre ad attendere, ovviamente. E abbiamo dovuto attendere sei giorni. Dopo il primo momento di panico Luca non ha cambiato minimamente le sue abitudini; mi ha addirittura ringraziato per la “consegna” che gli diedi, quando questa faccenda entrò nel vivo, cioè farsi una passeggiata alla mattina presto. Mi ha detto che l’ha aiutato molto a sentirsi rilassato e a non pensarci. Meglio così.

Quanto a Mauro, m’ha spiegato che dopo la sorpresa del primo giorno, non gliene fregava più di nulla. “Ho fatto quello che dovevo fare: vada come vada, io sono a posto.”; così mi ha detto e ha continuato a ricostruire la sua vita privata.

Io mi sono immerso nel mio lavoro, contento anche del fatto che un giorno sì e uno no venisse anche Irene; si aveva modo di parlare del più e del meno, dato che avevo un mucchio di cose da preparare, in vista dei pacchetti-viaggio da offrire alle scuole. E se un occhio e un orecchio erano sul lavoro, con gli altri due non smettevo di controllare i giornali, di vedere e ascoltare tutti i notiziari che mi riusciva, oltre che i discorsi delle persone che incontravo per strada o nel bar.

Altro tempo l’ho passato alla finestra del mio appartamento al quarto piano: è abbastanza in alto da permettere alla luce del giorno di entrare liberamente, anche se si è in città; in particolare la luce del tramonto, così ricca di colore in questi giorni caldi e sereni, che fa perfino apprezzare le sagome di altri palazzi dei quartieri vicini, se visti in controluce. Stare a guardarle solo per un po’, mentre il loro colore vira verso il nero e le luci accese alle finestre spiccano gialle su quelle sagome e sul blu sempre più scuro del cielo, è un altro, splendido modo per rilassarmi.

Ho ripreso anche a fare camminate per la città, appena chiusa l’agenzia, invece di andarmene dritto a casa: un’abitudine che avevo, prima di iniziare la storia con Graziella e con la quale mi gratificavo due o tre volte la settimana.

Senza soffermarmi più di tanto sui luoghi, ho guardato soprattutto la gente che incrociavo; ho fatto caso a qualche persona, che ho ritrovato regolarmente nelle tre volte in cui finora ho fatto lo stesso percorso: un signore anziano che portava a spasso i suoi due cani; un gruppo di ragazzetti che devono aver scelto quel particolare angolo all’ingresso del parco come luogo di ritrovo; una bella donna, mi è parso della mia età, che ho incrociato alla fermata dell’autobus o mentre, sempre da quel parco, vi si dirigeva.

Questa ritrovata abitudine mi ha regalato molto tempo per pensare. A pensare a quanto questa società sia fondata sull’ipocrisia, sullo spacciare per falso ciò che è vero e viceversa: una menzogna continua. La strategia giusta, agli sgoccioli di questo modello economico e sociale, nel quale tutto si basa sull’apparenza. Un bel brano della metà di quegli anni in fondo fantastici che furono i Settanta, diceva più o meno: “Scrosta via il colore / guarda sotto la superficie / ci troverai la solita bestia”.

Questi subumani, ipocriti nella loro finta bontà, ci condizionano la vita con i loro voti, con lo scegliere i miserabili che tanto somigliano loro sotto il loro volto sorridente e rassicurante, che ci governano a forza di falsità spacciate per verità assolute. La gente è solo capace di vivere di slogan: non sarebbe più gente, sarebbero persone, a comportarsi diversamente… E vivrebbero davvero.

Il fondo non è stato ancora toccato, se si è costretti a compiere un’ingiustizia come atto di giustizia, per compensare la mancanza di giustizia verso un’ingiustizia spacciata per comportamento giusto. Mentre ragionavo così, non ho potuto fare a meno di complimentarmi ironicamente con me stesso, per aver tirato fuori un pensiero così contorto…

Anche riguardo alla giustizia, la percezione che abbiamo del passato, specie quello molto lontano, è che le cose fossero migliori, perché più semplici; “più semplici” sarà eccessivo e “migliori” ancora di più: ma più chiare, sì. Se non migliori, allora, potremmo definirle “più corrette”. Molte persone come me – che sentono, sono certe, di non appartenere a questi tempi falsati dall’ipocrisia – si illudono che in quelli si sarebbero sentite a casa loro.

Penso che si illudano, perché in realtà sarebbe tutto da dimostrare: di sicuro, a fronte di regole più chiare, l’agire di chiunque doveva essere più semplice, quasi più automatico; ma quanto al fatto che così ci fosse più giustizia, a questo ci credo poco; e se siamo giunti a questo punto, è stato perché vittime di una decadenza continua. Lenta, molto lenta, ma continua. La stragrande maggioranza non se n’è neppure resa conto e anzi pensa che si stia progredendo, non capendo che fare così, è solo mettere la testa sotto la sabbia.

Ed è una decadenza che sta colpendo l’intera razza umana, non solo l’Occidente, anche se qui siamo messi peggio, con il modello di vita maggiormente in crisi. Qualcuno sostiene che questo decadere del nostro ambiente è naturale, necessario anzi: paragona il percorso dell’umanità a quello di un bruco, che si evolve parassitando e distruggendo ciò che ha intorno, divorando le foglie sulle quali sta, per divenire farfalla.

Ma dove dovremmo andare, una volta compiuta la metamorfosi? Ci ritroveremmo in una situazione migliore? Non è che m’interessi molto: prima di tutto si deve stare bene qui e ora: e sono convinto che questo si possa ottenere solo agendo secondo Etica e Tradizione, costi quel che costi. Non sono lo sceriffo del quartiere, ma non mi posso voltare dall’altra parte, se una persona cade per la strada; e non posso non fare la mia parte, per raddrizzare o compensare un torto.

Posso, voglio e devo contrastare, con qualunque mezzo, la negatività che ho attorno, se è vero che sono un Uomo e che siamo i custodi di questo mondo, meraviglioso malgrado tutto; o perlomeno meraviglioso malgrado la maggior parte di noi.

Ci penso spesso a questa umanità, che si ritrova con una maggioranza di individui, i quali coscientemente hanno abdicato al loro ruolo, per rifugiarsi nella comoda irresponsabilità del subumano: che per scelta rifiuta conoscenza, sensibilità e quell’egoismo positivo che si traduce nell’assioma “per stare meglio io, devo far stare meglio gli altri”. Hanno scelto di vivere nella cieca convinzione, che il progresso e questa democrazia in putrefazione procureranno loro giorni migliori; e chi se ne frega di come staranno tutti gli altri attorno a loro.

A lungo mi son chiesto che senso abbia questa de-evoluzione, se riusciremo ad arrestarla, quali guasti avrà prodotto fra quindici, venti anni. Non ho trovato risposte, se non una: che non è compito mio, né degli altri che, vivendo “fuori da questi tempi” come me, hanno “la vista più lunga” su ciò che può accadere domani, arrestarne il percorso.

Ma nemmeno ne avremmo i mezzi: perché il nostro compito è quello di dare testimonianza, di come si sarebbe dovuto fare secondo Etica e Tradizione; continuare entro questo solco e salvare il salvabile: il che significherà rimettere assieme i cocci e ricominciare quando, vada come vada, tutti i nodi saranno venuti al pettine.

 

 

 

 

27

 

Per la seconda volta, tre paia di occhi e di orecchie appiccicati a giornali e telegiornali; stavolta i cronisti non si sono sprecati in particolari attorno a quello che gli ho fatto, limitandosi a generiche “allucinanti sevizie”. Da quella sera con Luca ci si sente con una certa regolarità al telefono, ma di persona non s’è più fatto vivo: io e Mauro attribuiamo questo suo allontanamento alla cotta che s’è preso, certi di non sbagliarci; e avevo anche pensato di suggerglielo io, di staccarsi da me per un po’.

Lorenza l’ho rivista pochi giorni fa. Non ci eravamo più incontrati, dopo quella volta; e dopo un incontro così, andare a cercarla subito non è mai l’idea migliore, se la si rispetta: ma mi era piaciuta e mi attirava come persona, così, dopo aver atteso invano che si facesse viva lei, ho accettato il rischio di poter rovinare tutto e l’ho cercata, rifacendo il solito percorso, che da quel giorno non avevo più fatto. Solo un paio di volte ero passato accanto al parco all’ora giusta e avendola scorta da lontano, avevo capito che continuava a fare il solito tragitto.

Ci siamo fissati per un attimo, salutati. Ci siamo presi per mano e abbiamo camminato assieme per il parco, quasi senza una parola: solo qualche commento sulla bellezza di un paio d’alberi, del cielo al tramonto anche se tirava alla foschia. L’ho accompagnata fino alla fermata del bus e lei mi ha detto solo “Grazie di avermi ascoltata”. Quando le ho chiesto se aveva tenuto il mio numero e mi ha risposto di sì, le ho detto “Prenditi tutto il tempo che ti serve” e son rimasto a guardala salire.

Sono queste le cose piccole che ti salvano la vita; se si venisse a sapere quello che sto facendo, la maggior parte penserebbe che sono un maledetto, legato al lato oscuro, cose del genere… Ma non è mai stato così. Io so solo che esiste anche quello, che va rispettato e che qualche volta, come quando si prendono le decisioni che abbiamo preso noi tre, va frequentato e seguito. E poi lasciato andare. Prima che possibile, lasciato andare.

E proprio per le azioni che stiamo pensando e realizzando, si deve approfittare di ogni attimo di bellezza che ci capita attorno, assorbirlo nella maniera più completa, come il balsamo indispensabile che è; ancor di più che in un normale momento di vita.

Qualsiasi psicotico che sia riuscito a prendersi una vendetta, giusta o sbagliata che fosse, sarebbe andato subito dopo a farsi una pizza e a vedere un filmetto qualsiasi. Mauro, la settimana dopo aver sistemato il suo conto col medico, si è sciroppato due mostre d’arte in città qui vicine: una sua passione da sempre, ma non ricordava neppure da quanto tempo non ne aveva più fatte. Bene così: la ricerca del bello, il saperlo riconoscere dovunque e malgrado tutto, sono le cose che fanno la differenza; è così che ci si salva.

Pensavo a tutto questo, per esempio a dare un’occhiata ai programmi della stagione teatrale qui in città, mentre tornavo a casa, quando all’ingresso ho trovato i questurini: avevano appena suonato e stavano andandosene, così mi hanno detto di passare da loro. Molto probabile che abbiano mangiato la foglia e che la pista satanica stia per essere archiviata; e che punteranno sempre di più sulla pista della droga e su quella politica, quelle più logiche da seguire nel suo caso.

Ma se anche non fossi stato io, a fare quello che ho fatto, cosa potrei raccontare? Tutti sanno che dal giro politico son fuori da una vita: quasi non vedo gli ex compagni, figurarsi se frequento un fascista come quello. Non sarà difficile trincerarsi dietro i “non so”, più di tanto non ci sarà bisogno di inventare. È anche del tutto escluso che, ora come ora, abbiano il più piccolo indizio contro di me: non ho mai detto in giro che l’avevo perdonato, ma nemmeno che ero intenzionato a fargliela pagare a ogni costo. Immagino che in Questura, in questi giorni, ci sarà un bel viavai di vecchie conoscenze, da una parte e dall’altra; ma non potrei esser loro utile neanche se volessi…

Appena salito, ho fatto voltar pagina alla mia mente: ho dato a Cairo una razione extra di spezzatino di canguro in scatola, perché festeggiasse anche lui; e mangiato di gusto la mia cena, tanto quanto lui aveva fatto con la sua. Una volta finito, anziché badare alla casa o ai piatti, mi son steso sul letto a ripensare ai due incontri con Lorenza e a passare in rassegna le cose che potrei proporle di fare assieme: deve avere una gran sensibilità, ma dei nostri gusti non abbiamo quasi parlato. Sono certo che chiamerà, me l’immagino capace di farmi una sorpresa, presentandosi in agenzia; e sarebbe la cosa più bella.

“DOMANDE A RISPOSTE”

 

            Fin quasi dall’inizio della mia attività professionale fissai una regola, per quanto riguarda la lunghezza delle mie raccolte: sopra le 45 pagine sono “raccolte lunghe”; in teoria ne dovrei pubblicare una all’anno: media in linea di massima rispettata, perché lavoro spesso a più di un tema e così anche nei periodi di “magra creativa” è facile che abbia un testo pronto, che quindi uscirà in quel dato anno.

            Sotto le 45 pagine sono “raccolte brevi” e le faccio uscire man mano che ciascuna è pronta.

 

            Di solito non decido io, se una raccolta sarà “breve” o “lunga”: in teoria sono tutte “lunghe”, ma accade che sia la vena creativa stessa a dirmi a un certo punto “ok, fermati qui, quello che dovevi dire l’hai detto”; anche se in rari casi la categorizzazione è decisa da subito da me.

            È il caso di questa “Domande a risposte”, che si configurò fin dall’inizio come un divértissment, partendo a un ragionamento del tipo: “ma chi ha detto che la Poesia debba dare risposte? Se invece ponesse domande?”

            Ecco quindi una serie di liriche, strutturate come domande dalla prima all’ultima strofa; e siccome “un bel gioco dura poco”, l’opera, uscita nel 2017 non supera appunto la quarantina di pagine.

 

            Una nota a margine: a sancire la distanza tra i desiderata dell’autore e i gusti del pubblico, va segnalato il fatto che lo smilzo fascicolo è uno dei titoli che hanno venduto di più in occasione delle mie uscite pubbliche. Merito del contenuto, che non presenta soverchie difficoltà, stante anche il fatto che non ci sono particolari asperità linguistiche e sonore? O del fatto che, proprio perché “opera breve” il suo costo di copertina è inferiore a quello delle altre?

            Come nel caso delle singole poesie, anche per queste due domande la risposta è lasciata al lettore…

      "POESIE DELL'UCCIDERE IN VOLO"     

 

 

          Questa è una delle raccolte che considero più importanti, meglio riuscite e alla quale sono particolarmente legato. Beninteso, i concetti di “meglio riuscita” e “profondamente legato” si basano sulla soggettività; ma “più importanti” non si discute: in primo luogo perché con le due autopubblicazioni (prima come samizdat nel 2006 e poi tramite YouCanPrint nel 2015), totalizzò 113 copie distribuite (un best-seller…); poi perché fu anche l’unica che venne proposta tre anni dopo come e-book gratuito presso il sito www.larecherche.it, prima che l’ancora non stampata “Verba” venisse inclusa poche settimane fa nel catalogo dello stesso sito poetico; e in questo caso parliamo di oltre 700 scaricamenti.

Infine perché fu la mia unica raccolta a venire teatralizzata, anche se molto parzialmente e oramai più di vent’anni fa.

 

              Che mi senta “profondamente legato” ad essa va però oltre questi motivi e lo si capisce analizzandone le peculiarità.

            Moltissime mie poesie hanno agganci con altre opere artistiche, dalle musiche ai quadri e anche ad altri testi, poetici e non; però questo è stato l’unico libro che sia basato per intero su di un altro, nella fattispecie l’autobiografia di guerra di Silvio Scaroni: il secondo asso dell’Aviazione Italiana nella Grande Guerra; o il primo, se si considerano quelli che sopravvissero a Francesco Baracca.

            Questa scelta nacque dal voler fare una sorta di omaggio alla mia passione per il volo e la storia militare in particolare, ma con il per me ovvio aggancio con la realtà attuale: che divenne lampante, quando appunto la ri-autopubblicai come vero e proprio volume grazie a YouCanPrint. La nota che compare in copertina “Edizione riveduta in occasione del centenario della Prima Missione di Pace Mondiale”, rende subito noto lo scopo delle liriche: quello di riflettere con occhio moderno su una guerra del passato, paragonando quella a quanto viene ipocritamente spacciato per “missione di pace” dagli ultimi decenni ai giorni nostri.

            Tale collegamento avrebbe dovuto essere ancor meglio chiarito nella nuova teatralizzazione, che avevo immaginato fattibile quando entrai in contatto con la compianta Francesca Mariotti a Ferrara: il libro fu infatti tra i primi a venir presentato là, grazie ai suoi buoni uffici; ma una teatralizzazione completa non si concretizzò mai, stante la cronica mancanza di attori credibili sul piano dell’impegno e della serietà professionale.

            Sarà possibile prima o poi? Mai disperare: chi come me in Italia ha pubblicato sul serio, cioè senza dover pagare, 7 o 8 titoli tra raccolte e antologie (se ora volete cifre precise, leggete il curriculum, grazie), ha tutto il diritto di credere ai miracoli; anzi ne è la prova vivente. E nel frattempo, se – contro il mio interesse - volete scaricare gratis il libro, questo è il link:   https://www.larecherche.it/librolibero_ebook.asp?Id=212

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